Razzismo piaga del calcio

Rimini

RIMINI. Il sindaco “biancorosso” lancia la crociata contro Carlo Tavecchio, candidato alla presidenza della Federcalcio. Andrea Gnassi ieri ha scritto ai colleghi di tutta Italia chiedendo di mostrare un bel cartellino rosso a chi descrive i calciatori stranieri in quel modo incivile. Il primo cittadino sa bene come la politica non debba interferire nelle scelte sportive, però sa pure che i sindaci ogni due settimane si trovano a gestire i «guasti, i vandalismi, le parole d’ordine inqualificabili e offensive per ogni convivenza civile, gli effetti di un calcio ormai ai confini della realtà». Di più. «E’ inutile che ce lo raccontiamo: il calcio degli stadi off limits per le famiglie, del razzismo, della prevaricazione, della cultura violenta è figlio del cinismo di un governo del pallone che da anni ha preferito un interessato lassez faire piuttosto che cercare di emendare i campionati da storture e parole d’ordine terrificanti».

Il fatto. Carlo Tavecchio è candidato alla presidenza della Federcalcio (le società sportive votano a Roma l’11 agosto) e da giorni rimbalzano ovunque le sue parole dedicate ai calciatori «extracomunitari che fino al giorno prima di venire in Italia per giocare titolari, mangiavano banane». Il Cesena ha ritirato il suo sostegno a Tavecchio.

“Cartellino rosso”. Il sindaco Andrea Gnassi (Pd) ieri mattina ha scritto una lettera aperta indirizzata ai colleghi di tutta Italia per dire che uno che pensa e parla come Tavecchio non si può mettere alla guida del calcio italiano.

«Il giudizio sull’inadeguatezza o meno del candidato - spiega - è naturalmente affare del governo calcistico. E tale deve rimanere, senza interferenze. Ma siccome i guasti del calcio malato ricadono anche sulle spalle dei sindaci, come amministratore pubblico chiederò ufficialmente alla società calcistica della mia città di non sostenere candidature diametralmente opposte ai valori e agli interessi dello sport».

“Radiazione”. Una lunga premessa prima del fuorigioco. «Inutile girarci attorno e cercare di minimizzare l’episodio: più del fatto in sé, gravissimo peraltro, è l’irrazionale ragionamento dietro a quelle parole che spaventa e lascia pochi dubbi sul livello di contrasto ai mali del calcio che di qui in avanti chi ha responsabilità diretta potrà o potrebbe attuare per favorire un ritorno a uno sport senza violenza e razzismo. Una forma mentis rozza, retrograda, provinciale nel senso deteriore del termine, che non tiene in alcun conto l’evoluzione di una società aperta, multietnica, moderna, che chiede e pretende un’adeguata rappresentazione e rappresentanza dei valori migliori, a partire dagli ambiti istituzionali. Soprattutto una dichiarazione che alimenta il terreno di chi fa dello stadio e delle aree urbane intorno un teatro di prevaricazione e violenza, verbale e fisica».

Facciamo squadra. Alla fine il sindaco Gnassi invoca l’inizio di una nuova stagione. «Se si vuole aprire una stagione nuova nel Paese, una stagione nuova del calcio italiano, che restituisca il gioco alla gioia, all’allegria, al divertimento, alle famiglie e ai bambini che possono tranquillamente recarsi negli stadi, le amministrazioni comunali non possono stare a guardare, essendo anch’esse esposte su questo fronte. Dunque i sindaci come potrebbero o come potranno accettare di interloquire con chi, nei fatti, sostiene una cultura della relazione tra calcio e territorio, diametralmente opposta all’idea e alla prospettiva di una stagione nuova? Spero e credo che i miei colleghi sindaci possono riflettere su questi elementi, ritenendosi parte non secondaria del dibattito e dunque alimentandolo».

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