"Figli rubati", il giudice li ridà alla madre

Rimini

 

RIMINI. Più di sette anni fa, dopo l’improvviso arresto del compagno, si rivolse disperata ai servizi sociali perché senza stipendio e con l’affitto da pagare non sapeva più come andare avanti. Il risultato fu che nel giro di poco tempo dapprima le furono sottratti i due figlioletti di tre e quattro anni, quindi dati in affidamento senza il suo consenso, e infine le venne sospesa la patria potestà. Non perché indegna o pericolosa, ma in quanto “povera”. Mamma Adriana, all’epoca residente a Riccione, ha continuato a combattere per riaverli anche quando per i suoi figli, collocati prima in una struttura e poi in una famiglia, era già in corso la procedura di “adottabilità”. Adesso il Tribunale dei minorenni di Bologna ha premiato la sua tenacia. Un decreto del giudice le ha infatti restituito i bambini, ormai cresciuti, e la gioia. Tra sei mesi il provvedimento diverrà definitivo. «Un lieto fine - commenta l’avvocato Catia Pichierri - che regala la speranza a tutti quei genitori che si trovano in una situazione analoga. La mia cliente non è mai stata considerata inidonea e i presupposti dell’affido, da noi contestati, erano basati solo su valutazioni arbitrarie e ragioni di natura economica: il problema non sarebbe esistito se, ad esempio, fossero stati destinati a lei i fondi riservati alla famiglia affidataria».

«E’ il giorno più felice della mia vita» - commenta Adriana. Grazie al suo coraggio è diventata un caso nazionale (il senatore Sergio Divina della Lega Nord aveva presentato sulla vicenda una doppia interrogazione in Parlamento, con richiesta di ispezione caduta nel vuoto). Nessuno però potrà mai restituirle il tempo perduto («Quando me li hanno rubati, facevo loro il bagnetto»). «Sono stati proprio loro - racconta commossa - a consolarmi: Mamma, mi hanno detto dopo i primi abbracci, è come se fossimo stati sempre con te». Per contrastare con ogni mezzo quella che lei ha dal principio considerato una profonda ingiustizia la donna non si è limitata alle apparizioni televisive (nella foto è ritratta durante una puntata di Mattino Cinque su Canale5) , ma ha denunciato penalmente l’allora responsabile delle assistenti sociali di Riccione e quattro sue collaboratrici, ipotizzando i reati di abuso d’ufficio e falso. L’inchiesta si è conclusa con l’archiviazione per tutte le indagate, difese dagli avvocati Luca Ventaloro e Martina Montanari: la buonafede delle operatrici non è in discussione, hanno agito nella cornice discrezionale che un sistema controverso consente e alimenta. E’ bastato però che la competenza sulla vicenda passasse a quel punto a un’altra ausl perché il giudizio sulla madre venisse ribaltato. La relazione delle assistenti sociali del Cesenate, nominate come nuove referenti, ha spazzato via ogni ombra sulla signora. Nelle conclusioni s’invitava al più presto il giudice a imporre un immediato rientro dei minori nella nuova casa della madre. Uno dei bambini, tra l’altro, esasperato dal braccio di ferro burocratico, cominciava a dare segnali di forte sofferenza. Il magistrato, alle prese con due relazioni di segno opposto, ha disposto una consulenza tecnica. L’esperto chiamato in causa alla fine ha dato ragione all’interpretazione “cesenate”. Intanto però sono passati altri mesi prima della decisione. Quella che avrebbe potuto prendere chiunque affidandosi alle ragioni del cuore, che il diritto non sempre conosce. L’intervento pubblico, va detto, è promosso in favore dei minori e riguarda casi di abusi e abbandoni. Capita però, stando ad esempio alle denunce raccolte da associazioni a tutela della genitorialità come Genitori Sottratti, che dietro agli allontanamenti non ci siano sempre situazioni di pericolo, ma anche stati di indigenza o difficoltà. E sulle contraddizioni e incongruenze del sistema spunta l’ombra di interessi economici legati al fiume di finanziamenti pubblici e alla loro gestione.

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