La Procura di Rimini ha deciso: impugnerà il dissequestro della Rovereta

Secondo gli uffici al terzo piano del palazzo di giustizia, infatti, le motivazioni addotte dal Gip per accogliere l’istanza avanzata dall’avvocato Alessandro Petrillo, legale della società, per disporre la rimozione dei sigilli, “esulano” dalle contestazioni mosse, che non sono sanabili con semplici ammende. Mentre viene invece data grande apertura di credito agli «eventuali interventi» che l'azienda potrebbe fare per migliorare ulteriormente i propri standard operativi, come la copertura delle vasche.
Le contestazioni
La procura, sulla scorta delle indagini dei carabinieri del Nucleo operativi ecologico (Noe) di Bologna e del comando Provinciale di Rimini, lo ricordiamo, contesta alla ditta numerose violazioni alle prescrizioni imposte dall’atto autorizzativo, tra le quali l’erronea modalità di stoccaggio del rifiuto in ingresso, un inefficace sistema di movimentazione del medesimo da e per i capannoni di trattamento con la conseguente fuoriuscita di miasmi molesti, la inadeguata manutenzione dei capannoni e delle vasche di contenimento dei fanghi pericolosi, inidonei sistemi di aspirazione delle emissioni di odori molesti, una deteriorata pavimentazione dell’area industriale, la irregolare procedura di trattamento delle terre contaminate con la conseguenza di reimmettere nel circuito commerciale inerti frammisti a rifiuti vari, ed infine un’insufficienza generale delle dotazioni tecniche con cui si svolgerebbe l’attività di trattamento e recupero.
La difesa
In aiuto della Rovereta, alcuni giorni fa, è arrivata una nube maleodorante che ha portato l’amministratore delegato a chiedere l’intervento di Arpae affinchè fosse certificato che la situazione si è verificata a stabilimento bloccato. All’azienda, infatti, più di una volta è stato contestato di sprigionare puzza durante la sua attività.