Fuga finita: Lolli ora vuole tornare a Rimini, intanto aspetta il verdetto in Libia

Rimini

RIMINI. La fuga di Giulio Lolli è finita. Il latitante dalla vita romanzesca avrebbe preso carta e penna chiedendo alle autorità di poter tornare in Italia, dove c’è un ordine di cattura su di lui, ed eventualmente anche di poter scontare nel proprio Paese la possibile condanna che lo aspetta.

Il riminese si trova detenuto in Libia, con accuse gravi come il traffico d’armi e il sospetto, quasi certamente pretestuoso, degli investigatori libici, di contatti con il terrorismo internazionale. L’istruttoria è stata completata: l’italiano attende soltanto la sentenza. Si era temuto per la sua sorte, ma Tripoli ha smentito nelle scorse settimana la “voce” che lo voleva evaso durante i disordini tra gruppi rivali.

Lolli non si è mai mosso dal carcere di Mitiga. Le vie diplomatiche potrebbero avere una spinta dal vertice internazionale sulla Libia in programma a Palermo, ma la vicenda legata all’ex patron di Rimini Yacht è così piena di colpi di scena che non autorizza previsioni. L’ex imprenditore, che si professa innocente, rischia una pena pesante.

Tripoli imputa a Lolli, diventato musulmano nel 2012 con il nome di Karim, la sua presunta appartenenza al gruppo armato islamista “Consiglio rivoluzionario della Shura di Bengasi” (Brsc), ritenuto secondo alcune fonti vicino ad al Qaeda. Alcune foto lo vedrebbero ritratto a bordo di imbarcazioni, adibite al trasporto di mezzi militari e armi, al fianco di esponenti di primo piano della fazione osteggiata da chi attualmente detiene il potere a Tripoli. Lolli, nel corso del primo interrogatorio reso davanti agli “agenti” di Rada, milizia islamista di ispirazione salafita che risponde direttamente al ministero dell’Interno, ha disperatamente respinto gli addebiti. Lo ha fatto poi ogni volta che gli è stato concesso di fare sentire, direttamente o indirettamente, la sua voce. Ammette di essersi occupato della manutenzione e riparazione delle barche in uso al gruppo, ma sostiene di averle guidate solo per soccorrere persone o portare medicinali. Riconosce anche di essersi occupato dell’addestramento dell’equipaggio, ma giura di non essere a conoscenza delle eventuali attività illegali del Consiglio della Shura e tanto meno di appartenervi. Il sospetto è che sia stato travolto dal cambio degli equilibri politici in Libia e, in mezzo a una guerra non sua, preferisca consegnarsi al “nemico” di sempre in Italia, il pm Davide Ercolani che gli dà la caccia da anni, piuttosto che a un destino da detenuto nel caos nordafricano.

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