Omicidio di Rivabella, verdetto ribaltato. Il padre è l’unico colpevole, assolti i figli in appello

Rimini

RIMINI. «I miei figli non c’entrano» ha sempre ripetuto come un mantra l’autore materiale del delitto. La Corte d’assise d’appello di Bologna gli ha creduto e, ribaltando il verdetto di primo grado, ha assolto entrambi i figli. Il padre, Lek Preci, si è visto confermare la condanna di primo grado: 25 anni di reclusione. Ma non si è mai visto un condannato così felice. È scoppiato a piangere. Dalla gioia. La sua famiglia, quella per la quale è arrivato a uccidere nella deformante ottica culturale del clan, torna a vivere. Il resto non conta.

Il procuratore generale tra l’altro aveva chiesto, sulla falsariga dell’appello del pubblico ministero, l’ergastolo sia per lui, sia per il figlio Edmond Preci e la conferma a 23 anni di reclusione per l’altro figlio Altin Preci. Gli imputati difesi dall’avvocato Tiziana Casali (co-difensori: Nicodemo Gentile e Fabrizio Cardinali) dovevano rispondere dell’omicidio in concorso di Petrit Nikolli, avvenuto il 25 maggio 2016: l’uomo aveva portato via la nipote, ingabbiata in un matrimonio infelice, dalla casa della famiglia del marito. La vittima, idraulico di origine albanese ma con cittadinanza italiana, venne assassinato la stessa sera, al culmine di una accesa discussione, con un colpo di pistola davanti a un ristorante di via Toscanelli a Rivabella (la vedova si era costituita parte civile attraverso l’avvocato Mattia Lancini). In primo grado Lek ed Edmond erano stati condannati a venticinque anni. Secondo l’accusa, che puntava al riconoscimento della premeditazione, i tre avevano pianificato e compiuto una spedizione punitiva dall’esito mortale. Per la difesa, invece, i due figli non sapevano neppure che il padre fosse armato. Lek appreso che la giovane sposa di Edmond aveva abbandonato il tetto coniugale, convocò i figli e decise di andare a riprendersela. Si procurò una pistola e un’auto in prestito. E una volta a Rimini cercò il confronto con Petrit, zio della ragazza. La discussione degenerò e il rappresentante della famiglia rivale cadde sull’asfalto. Colpito da un proiettile alle spalle. I giudici hanno non hanno creduto solo alla storia dello sparo partito accidentalmente. Ma sarebbe stato chiedere troppo. «I miei figli non c’entrano». Dopo due anni e 4 mesi dietro alle sbarre i suoi ragazzi sono liberi.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui