«Per i medici dopo il cancro dovevo riposare. Non faceva per me, ora sono un’Ironman»

Rimini

RIMINI. Corre, nuota, pedala per chilometri e chilometri. Praticamente tutti i giorni. Lei che dovrebbe essere una sorta di pensionata anticipata. Dopo aver combattuto con grandissima tenacia un tumore, a 40 anni Roberta Liguori si è infatti ribellata alla “sentenza” dei medici (“Faccia una vita da convalescente, tranquilla, evitando lo sport”) e ha scelto probabilmente la disciplina più dura al mondo: è diventata Ironman e fra qualche settimana a Cervia affronterà la quarta gara della sua “nuova” vita.

Nata a Fano nel 1973 e da 13 anni figlia adottiva di Riccione, Roberta si è laureata in Ingegneria Informatica ma oggi è mental coach, trainer di comunicazione e Pnl, scrittrice e appunto atleta e si racconta durante una trasferta a Reggio Emilia. Una delle tante per lavoro in tutta Italia e non solo.

Partiamo dalla sua “rinascita” e dall’avvicinamento a questa disciplina.

«Ho iniziato a praticare triathlon alla veneranda età di 40 anni, dopo un tumore molto importante che ho curato con chemioterapia, radioterapia e compiendo tutto il percorso necessario in queste situazioni. Era la fine del 2013, i medici mi dissero che avrei dovuto vivere da convalescente dopo cure così importanti e mi sono detta che era arrivato davvero il momento di fare l’Ironman».

Era un obiettivo che aveva già?

«Sono sempre stata molto attiva e sportiva fin da adolescente: mi sono laureata ingegnere informatico ma per diverso tempo, anche per pagarmi gli studi universitari, ho fatto come secondo lavoro l’istruttrice d’aerobica. Il sogno del triathlon mi era balenato tempo prima, perché sono sempre stata affascinata dalle imprese del genere umano, quando i medici mi hanno detto di vivere tranquilla ed evitare lo sport è diventato invece un obiettivo. Mi ero proposta di riuscirci in due anni, ce l’ho fatta in uno e mezzo: la prima gara è stata infatti un mezzo ironman al Challenge Rimini nel 2014, mentre il primo completo l’ho fatto a Barcellona nel 2015. Ne sono seguiti un altro a Palma di Maiorca e quello dello scorso anno a Cervia, dove il 22 settembre farò il mio quarto completo».

Nella sua “nuova” vita ha messo da parte anche l’informatica.

«Sì, oggi ho cambiato completamente settore e sono una mental coach e una scrittrice per Mondadori: il mio primo libro “Perché io sogno forte” è andato molto bene, il secondo è in pubblicazione e uscirà fra gennaio e febbraio e ce n’è già un terzo in revisione in questi giorni. In realtà mi ero già avvicinata al coaching prima della malattia e questo mi ha aiutato molto nell’affrontarla, tanto che i medici hanno addirittura dichiarato che “le cure nel mio caso sono andate molto bene grazie al mio atteggiamento”. Una sorta di certificazione che ho inserito anche nel mio libro».

Torniamo un momento alla malattia.

«All’inizio mi sono arrabbiata come tutti e continuavo a chiedermi il perché proprio a me. “Non è giusto così giovane, sono sempre stata attenta all’alimentazione, non ho mai fumato e bevuto troppo e ho sempre fatto sport” mi ripetevo, poi ho preso alla lettera una frase di una mia ispiratrice, Virginia Satir (“La vita non è quello che dovrebbe essere, la vita è quello che è: è come tu l’affronti che fa la differenza”), ho smesso di arrabbiarmi e lamentarmi e ho iniziato a farmi domande furbe. Non più “perché tutte a me?” ma “come posso andare avanti nelle cure?”, “Guarire in fretta?”, “Imparare da questa esperienze?” Ed eccomi qua».

Il lavoro la porta costantemente fuori casa, come lo concilia con gli allenamenti?

«Per tenere corsi di motivazione sia per aziende che per privati, viaggio tantissimo in Italia e all’estero, ma con un po’ di organizzazione riesco a non stare mai ferma: ogni mattina mi alzo alle 5.30-6 e mi faccio due-tre ore di allenamento prima di iniziare bella sorridente sul palco alle 9. Sull’auto per Reggio Emilia ho caricato ad esempio come sempre due valigie (una con il materiale sportivo) e la bicicletta e ho con me una borsa con le mie cose da mangiare e i prodotti per l’integrazione, visto che dobbiamo seguire un’alimentazione mirata. Mi alleno seguendo le tabelle e i consigli di un coach specializzato, esco praticamente tutti i giorni dell’anno e in quelli di riposo vado a nuotare. Quando sono all’estero, l’allenamento dura in genere un’ora e mezzo al giorno, nei periodi di carico come luglio e agosto anche 4-5. Spesso lavoro da sola, quando sono a casa anche in gruppo con i compagni di squadra del Td Rimini, ma a volte bisogna farlo individualmente per allenare la mente, perché un Ironman dura oltre 12 ore e in gara tu sei sola con te stessa».

Quanto è importante fare sport per affrontare meglio la vita di tutti i giorni?

«E’ fondamentale. Ho anche un tatuaggio che dice “Body & mind in connection”, un po’ sul tenore di “mens sana in corpore sano”: fare sport è il 50% della mia vita e dovrebbe avere una parte fondamentale in quella di tutti per ciò che dà in termini di salute fisica e mentale».

Obiettivi per Cervia? Quasi 4 chilometri di nuoto, 180 di bici e una maratona di corsa non sono certo una passeggiata…

«Il primo è sopravvivere perché in un ironman non è mai scontato, il secondo arrivare e arrivare bene, infine migliorarmi perché lo scorso anno ho fatto 12 ore e una quarantina di minuti. Non guardo la classifica, non devo vincerlo, è una gara con me stessa».

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