I cent’anni di Amerigo, il sarto che inseguì don Oreste Benzi per tutta Rimini per le misure

Rimini

RIMINI. Nell’ascoltare la sua storia, il racconto del figlio e delle nipoti, la sensazione è di avere a che fare con il personaggio di un romanzo. Quegli eroi di una volta che riescono a uscire da ogni situazione, anche la più difficile. E gli ingredienti del romanzo classico ci sono tutti: avventura, amore, guerra, vita e morte, sofferenza e passione. Sullo sfondo lui, che attraversa un secolo con la leggerezza dell’artista e la concretezza del romagnolo. Nella vita e in sartoria. Anche il nome è da personaggio, un po’ felliniano: Amerigo Soldati.

La lunga storia

Amerigo Soldati, classe 1918, il sarto che il 28 luglio 2018 compie cent’anni. “Mi piacerebbe arrivare alle tre cifre” disse ai nipoti e familiari riuniti per il suo compleanno un anno fa. E domani Amerigo festeggerà i 100 anni con amici e parenti, alle 18,30 alla parrocchia del Crocifisso. Certo, il carattere non gli manca. E neppure la volontà di raggiungere gli obiettivi. Lo descrivono come una “persona dinamica e metodica, incapace di stare con le mani in mano, sempre animato dalla passione per quello che fa”. Amerigo nella vita ha fatto e fa il sarto. È la costante. Poi soldato, marito, padre, nonno e anche bisnonno.

Nasce nel 1918 da Teresa e Pio a San Mauro Pascoli, una famiglia di contadini. A 13 anni viene mandato a bottega da un sarto a San Vito e lì apprende i primi rudimenti di ago e filo. Ha combattuto nella seconda guerra mondiale, tornando a piedi dalla Jugoslavia di Tito. «Ero nell’Egeo – racconta – dove sono rimasto per un anno e mezzo. Stavo male, avevo un’infezione e rientrai con l’ultima nave italiana disponibile. L’imbarcazione precedente, una nave ospedale, fu affondata. Finii prima a Barletta, poi a Savona, in ospedale. Una volta ristabilitomi, mi aspettava un corso da avvistatore aereo e la guerra in Croazia».

Viene inviato, come avvistatore aereo, nelle isole della Dalmazia dove lo coglie l’armistizio dell’8 settembre 1943. Passando di notte da un’isola all’altra su barche di pescatori, arriva nei territori istriani, oltrepassa Trieste ma viene arrestato dai tedeschi e inviato in un campo di lavoro. Riesce a fuggire, e dopo tante traversie arriva a San Mauro e si nasconde vicino casa, in una buca in mezzo a un campo di granoturco. Una soffiata e c’è la galera, a Forlì. I tedeschi lo prelevano e lo spediscono con una colonna di camion verso la Germania. A Verona, grazie a un allarme aereo, riesce a eludere la sorveglianza delle guardie e a piedi si incammina sulla via di casa. «Nel gettarmi dal camion in colonna ho fatto rumore e una guardia mi ha notato – racconta –. Senza pensarci troppo, mi sono calato i pantaloni fingendo di dover fare un bisognino. Lui ha girato lo sguardo ed è stata la mia salvezza».

La famiglia e la sartoria

Una volta tornato a casa vive per parecchi mesi nascosto in una buca scavata in un campo di patate. Già prima di partire per la guerra aveva conosciuto Maria e durante questi duri anni le aveva scritto alcune cartoline, una volta tornato a casa la invita a uscire. Si sposano nel 1947. Si trasferiscono a Rimini e lui lavora per alcuni anni presso la sartoria Continolo. Nascono i due figli, Roberto e Patrizia. Apre una propria sartoria nel centro di Rimini (prima in piazza Tre Martiri, poi in via Mentana e infine in piazza Ferrari) e si afferma come uno dei migliori sarti della zona. Negli anni Cinquanta ha tra i suoi clienti molti albergatori, grazie a loro la clientela si allarga anche ai turisti stranieri, che apprezzano la sartoria Made in Italy. Assume alcuni lavoranti e insegna loro il mestiere che ama e a cui dedica passione e tempo. Con l’avanzare dell’età e l’avvento delle sartorie industriali chiude il suo atelier e continua a lavorare allestendo un piccolo laboratorio al piano terra della casa di famiglia. Ancora oggi cuce abiti da uomo per amici e parenti, senza farsi pagare. Ha cucito gli abiti da sposo dei mariti delle nipoti, capace di adeguare le linee alla moda del momento: pantaloni stretti e a vita bassa e giacche più corte rispetto a un tempo: «Però non la faccio ancora più corta la giacca, sennò mi sembra una pagliacciata». Ha confezionato tonache e vestiti per don Oreste Benzi, inseguendolo per tutta Rimini per riuscire a prendere le misure e fargli fare le prove necessarie.

Amerigo e Maria

Amerigo e Maria sono sempre stati il punto di riferimento per i figli e per i nipoti (Serena, Fabio, Sara, Riccardo e Laura). Nel 2006 a Maria viene diagnosticato l’Alzheimer. Inizia il calvario della malattia, sette anni accompagnata dalla cura e dalla tenerezza del suo unico amore, ancora tenace e combattivo dopo 70 anni: anche nei momenti in cui non è lucida, l’unica voce che Maria riconosce e ascolta è quella di Amerigo. Oggi, alla soglia dei cento anni, è impossibile vederlo con le mani in mano, quando lascia ago e filo si dedica a piccoli lavori con il legno, casette per le bambole per le nipoti, macchinine e portagioie traforati con cura. Da sempre, prima con la moglie Maria e ora con la figlia Patrizia, si occupa dell’orto e rifornisce la grande famiglia di cetrioli, pomodori, melanzane e fagiolini. Ovviamente l’orto deve essere vangato e anche quest’anno con una buona dose di cocciutaggine se ne è occupato di persona. Ma la sua predilezione va alle rose: in giardino ne ha una che ha piantato oltre 50 anni fa. I nipoti lo ricordano intento a raccogliere le foglie secche della magnolia davanti a casa e a innaffiare le rose e i cespugli di calle. Degno di nota è il suo “parco macchine”: dalla 600 beige amaranto, alla 124, poi la 127 (regalata al figlio in occasione del matrimonio), la Ritmo e la Uno (prestata spesso ai nipoti). Ma soprattutto con il suo destriero, un Moto Guzzi “Galletto” del 1952, ha trasmesso la passione per le due ruote al figlio e ai nipoti. Eccolo Amerigo, un uomo con la stoffa di altri tempi. Un pezzo di storia riminese, quella che sopravvive all’amarcord e tiene in vita le radici di una cultura popolare e artigiana, perché non sia solo una rievocazione nostalgica del passato, ma una finestra sul mondo che verrà.

S. e R. S.

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