Il Vescovo: ancora troppi cattolici fra i clienti delle schiave del sesso

Rimini

RIMINI. Tutti devono fare qualcosa per liberare le schiave del sesso e impedire alla mafia di gestire le strade di notte. E quando il Vescovo dice tutti, intende tutti: dagli insegnanti agli albergatori, dai politici ai giornalisti. Monsignor Francesco Lambiasi ha scelto la festa del Corpus Domini per lanciare l’ennesima “crociata”, dopo essere sceso in strada due volte con la Papa Giovanni XXIII, puntando il dito contro i clienti, «molti dei quali cattolici».

Il Corpus Domini

Allora. Ieri sera la Diocesi ha festeggiato la solennità del Corpus Domini: Santa Messa a Sant’Agostino celebrata da monsignor Lambiasi, quindi processione fino all’Arco d’Augusto, dove il Vescovo ha dedicato il suo discorso alla città. Un messaggio articolato in due parti. La prima più religiosa, ha preso spunto dalle parole di Gesù durante l’ultima cena: “Questo è il mio corpo”. Cinque parole utilizzate da don Oreste Benzi nella sua campagna di liberazione delle prostitute. Monsignor Lambiasi ha quindi condannato i «molti clienti cattolici». Le donne della strada, ha aggiunto, sono «sorelle, non sono prostitute, ma dovrebbero essere onestamente riconosciute come prostituite».

“Io con le sorelle”

Il Vescovo ha poi reso noto di essere uscito due volte di notte con una «delle unità di strada della Papa Giovanni XXIII» e «mi ha colpito sentire che la domanda rivolta alle tante ragazzine rese schiave, non era il cinico, ripugnante “quanto costi?”, ma piuttosto: “quanto soffri?”».

Nessuno può fare finta di nulla. «Purtroppo è vero, e già lo denunciava don Oreste con parole di fuoco: tra i troppi clienti ci sono molti cristiani cattolici che vedono una donna non come persona, ma come un oggetto che può essere venduto, comprato, usato».

“Adesso basta”

Non è la prima volta che il pastore della Diocesi punta il dito contro i clienti e lo sfruttamento delle donne. Questa volta ha usato parole di fuoco. «La prostituzione non è né lavoro né amore. È lurido commercio. È squallido, raccapricciante sfruttamento. È ignobile uso e sadico abuso del corpo di tante povere donne».

Già in occasione del discorso per il Santo Patrono, il Vescovo si augurava «venissero rafforzate le misure per contrastare la schiavitù della prostituzione, tramite sanzioni dei clienti del sesso». Colpire la «domanda per arginare l’offerta». Ieri sera si è complimentato con istituzioni e forze dell’ordine, riconoscendo però che le «leggi, pur necessarie, sono insufficienti».

Serve compiere un passo in più. Come? «Potremo promuovere e attivare un lavoro culturale ed educativo per riuscire a ricreare una nuova cultura del rispetto, nella nostra società malata, dove lo stillicidio ripugnante del femminicidio deriva proprio dall’idea disumana che del corpo della donna si può fare ciò che si vuole, perché tanto sarebbe soltanto un oggetto di proprietà privata».

Ed ecco il punto. «Faccio perciò appello a genitori e insegnanti, a preti e religiose, a catechiste ed educatori, a operatori sanitari, alle forze dell’ordine, ai giudici, ai giornalisti, ai politici, agli amministratori di condominio, agli albergatori. Facciamo, tutti, tutto quello che possiamo, per non diventare complici di una mafia che vuole gestire le nostre strade di notte, per arricchirsi dell’ingordo mercimonio del corpo delle donne. La fitta rete costruita da trafficanti, sfruttatori e clienti può essere spezzata. Ma è urgente uscire dall’indifferenza e dal silenzio. Oggi stesso».

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