Non erano i "cagnolini" di Butungu: «I tre ragazzi? Non si sono pentiti»

Rimini

RIMINI. Non erano i “cagnolini” di Guerlin Butungu, il presunto “capobranco”: «anche in udienza» hanno continuato a «contraddirsi, a mentire, a giustificarsi e ad attribuire quasi ogni responsabilità al maggiorenne». I minorenni responsabili degli stupri di Rimini non erano succubi del più grande e il loro ruolo nella vicenda non è stato né «marginale», né «subordinato». In più non si sono neppure pentiti.

È quanto scrivono nelle motivazioni della sentenza, depositata ieri, i giudici del Tribunale dei minorenni di Bologna (presidente Luigi Martello, giudici onorari Micaela Donnini e Salvatore Busciolano).

I tre giovanissimi, due fratelli marocchini di 15 e 17 anni e un 16enne nigeriano, accusati di aver stuprato, in concorso con il congolese Butungu, una giovane turista polacca, pestato un suo connazionale sulla spiaggia di Miramare di Rimini e poi violentato una transessuale peruviana la notte del 26 agosto 2017, come si ricorderà, sono stati condannati l’8 febbraio scorso in primo grado a nove anni e otto mesi di reclusione ciascuno. Sarebbero stati 14 anni e sei mesi senza la riduzione prevista dal rito abbreviato (Buntungu, l’unico maggiorenne, usufruendo del medesimo “sconto” a Rimini ha invece preso sedici anni).

I giudici rimarcano come i tre ragazzi (difesi dagli avvocati Alessandro Gazzea e Teresa Lagreca, Marco Defendini), detenuti da mesi negli istituti penitenziari minorili di Torino, Bologna e Roma, non abbiano dato espliciti segnali di ravvedimento. Il presidente Martello cita «l’assoluta attendibilità» dei racconti delle vittime. Ma «anche se i ragazzi nel corso dell’aggressione ai polacchi si fossero limitati a picchiare l’uomo impedendogli di intervenire e a tenere ferma la donna per le braccia e per le gambe per consentire al maggiorenne di stuprarla, sarebbero comunque responsabili di violenza di gruppo». Le loro dichiarazioni, si legge nella sentenza, «eliminano ogni dubbio sull’identità degli autori dei fatti», anche se non sul loro svolgimento e soprattutto sul ruolo giocato da ciascuno. Le loro testimonianze si sono infatti rivelate «mendaci, parziali, autogiustificatorie», sintomo di «assoluta assenza di resipiscenza», al di là di alcune formali e stentate «dichiarazioni di dispiacere e di pentimento» che il giudice valuta «prive di reale significato, vista la mancanza di una chiara assunzione di responsabilità». Le attenuanti generiche (costituendosi hanno fatto catturare Butungu) e la diminuente dell’età sono state ritenute, infine, equivalenti alle aggravanti contestate. «Hanno avuto comportamenti da maggiorenni per la determinazione, la violenza, la mancanza di scrupoli, l’assenza di cedimenti, di ripensamenti e per la reiterazione dei comportamenti ormai acquisiti e divenuti modalità tipica di uscita in gruppo a caccia di vittime, sapendo esattamente cosa intendevano fare e come farlo».

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