Chioschi e bar, il Consiglio di Stato apre alle liberalizzazioni in spiaggia
Nel merito, i Bagni 70 e 71 erano partiti nel 2008 per riuscire ad aprire un punto di ristoro all’interno della loro concessione a Rimini nord. Una richiesta che però non era stata accolta: nel Piano dell’arenile e nelle successive varianti restava un articolo - il numero 23, comma 4, lettera d - nel quale si spiegava che era vietato «l’aumento del numero complessivo di esercizi rispetto a quello già esistente nell’area sottoposta al presente Piano prima dell’approvazione del medesimo». Insomma, nessuna nuova apertura una volta che il documento è entrato in vigore. Sulla stessa posizione si era schierato anche il Tribunale amministrativo, che nel 2013 aveva respinto il ricorso della società Bagno Elio. In sintesi, il Tar aveva reputato «di preminente importanza le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, che possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi commerciali» ma anche «la tutela ambientale e paesaggistica».
Lo stabilimento balneare è andato avanti in questa strada in salita, proponendo il ricorso al Consiglio di Stato di nuovo contro il Comune e nei confronti della Regione e della Cooperativa pubblici esercizi di spiaggia. Nel mirino sempre il passaggio del Piano dell’arenile che vietava nuove aperture, documento tra l’altro adottato e approvato da Palazzo Garampi sulla base di una precisa legge regionale, la numero 9 del 2002. Questa volta il tribunale ha reputato il blocco di nuovi pubblici esercizi «in conflitto con la disciplina normativa sulla liberalizzazione delle attività commerciali», tra i quali il cosiddetto decreto Bersani del 2006, che «per un verso, esclude la possibilità di limitare le attività di somministrazione di alimenti e bevande, in coerenza con la dichiarata finalità di apertura alla concorrenza del relativo settore di mercato».
Per dare uno stop all’arrivo di bar, chioschi e ristoranti sarebbe potuta intervenire comunque la «tutela di valori pubblici superiori» come quello «ambientale». Aspetto, quest’ultimo, chiamato in causa dal Comune già davanti al Tar per sostenere la propria posizione. Ma a questo giro l’invocata tutela dell’ambiente è stata giudicata dal Consiglio di Stato «del tutto inattendibile e incapace di giustificare il contestuale divieto di insediamento di nuove attività». Il motivo? E’ all’interno dello stesso Piano spiaggia in cui c’è la «possibilità di aumentare la superficie degli esercizi esistenti, fino a 200 metri quadrati». Un permesso che «rivela palesi profili di contraddittorietà e di illogicità». E alla fine il bagno di Torre Pedrera la spunta dopo anni di tribunale, riuscendo a ottenere anche 10mila euro per le spese sostenute.