Carim, restano in piedi tutte le accuse

Rimini

RIMINI. Il giudice dell’udienza preliminare Vinicio Cantarini ha respinto le principali eccezioni sollevate dai difensori degli imputati sulla procedibilità dell’azione penale e l’ammissibilità delle parti civili. Entrano così nel processo sia il Codacons sia i singoli azionisti, mentre resta fuori, ma solo in quanto ente, il “Comitato di tutela dei piccoli azionisti”, che al momento dei fatti non esisteva ancora. Saranno in centocinquanta quelli che in caso di un’eventuale condanna degli ex amministratori, manager e membri del collegio sindacale di Banca Carim (Cassa di Risparmio di Rimini) - coinvolti a vario titolo nell’ambito dell’inchiesta della Guardia di finanza di Rimini per il periodo compreso tra il 2009 e il commissariamento disposto nell’ottobre 2010 - potranno contare in un risarcimento economico. Quelli che sono rimasti esclusi o hanno scelto di stare alla finestra potranno rientrare in gioco, in caso di rinvio a giudizio, fino all’inizio del dibattimento (è stata bocciata l’eccezione sulla presunta prescrizione dei diritti azionati dalle parti civili). Né la Fondazione, né gli attuali vertici bancari hanno ritenuto, almeno per il momento, di fare passi avanti: la Carim risulta parte offesa e segue l’evolversi della situazione attraverso un legale nominato ad hoc, senza diritto di parola in udienza.

Il giudice Cantarini ha risolto in senso sfavorevole agli accusati anche la questione della tardività delle querele. Se l’avesse ritenuta fondata, infatti, la conseguenze improcedibilità per diversi reati avrebbe sancito l’uscita dal processo per molti dei coinvolti e un ridimensionamento della vicenda, specie ai fini risarcitori. In particolare sono state considerate tempestive due delle tre querele “contestate” , in quanto i termini decorrono dal momento in cui si ebbe una «conoscenza certa ed elementi seri del fatto-reato» e non da quando i giornali locali cominciarono a denunciare le anomalie. «D’altra parte - scrive il giudice nel suo provvedimento - neppure va sottaciuto che evidenti motivi di prudenza (la querela riguardava i vertici di un istituto bancario) non poteva che indurre estrema cautela per non incorrere nel rischio di vedersi denunciati per calunnia» nel caso di mancata conferma dei sospetti da parte dell’inchiesta. In questo senso sono state ritenute del tutto efficaci le querele del generale in pensione della guardia di finanza, Enrico Cecchi, e dell’avvocato Paola Michelini. Definitivamente sgomberato il campo dalle eccezioni preliminare si è aperta la fase della discussione, a conferma della volontà di contenere i tempi, così come già si era capito dalla fissazione di udienze a distanza molto ravvicinata. Il pm Luca Bertuzzi ha così ripercorso l’indagine del Nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza e ribadito in aula la richiesta di rinvio a giudizio, a vario titolo, dei venti imputati (nessuno ha chiesto riti alternativi). Per tre di loro , al vertice della banca all’epoca dei fatti, l’accusa ipotizza il reato di associazione per delinquere finalizzata al falso in bilancio e a una serie di reati societari. Si tratta di Giuliano Ioni (ex presidente del Cda e componente del comitato esecutivo); Alberto Martini (ex direttore generale) e Claudio Grossi (ex vice direttore generale). Il prossimo 30 giugno la parola passa alle difese. Per il giorno successivo, 1 luglio, è prevista l’udienza finale con la decisione del giudice se processare o meno gli accusati.

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