Loris Stecca condannato a otto anni e mezzo

Rimini

RIMINI. La sentenza è un colpo da kappao. Peggio del gancio sinistro con il quale il portoricano Victor Callejas, trenta anni fa, gli spezzò il sogno mondiale. Loris Stecca, riconosciuto colpevole del tentato omicidio della ex socia Roberta Cester e di un secondo episodio di violenza privata nei suoi confronti, è stato condannato a otto anni e sei mesi di reclusione.

Il Tribunale (presidente Massimo Di Patria, Silvia Corinaldesi, Raffaella Ceccarelli) ha aderito alla ricostruzione fatta dal pubblico ministero Paolo Gengarelli (che chiedeva di escludere la premeditazione), ma nella determinazione della pena ha usato il pugno di ferro: l’accusa aveva chiesto cinque anni e otto mesi. L’imputato ha incassato il verdetto e, rivolgendosi ad alta voce ai suoi difensori (avvocati Luca Ventaloro e Piero Ippoliti) ha domandato polemicamente: «A parti invertite come sarebbe finita? Una donna che ferisce chi la esaspera non prende anni. Pago il fatto di essere un personaggio e soprattutto di essere un uomo. I giudici hanno voluto dare un segnale, ma io credo di dover pagare soltanto quello che è giusto. Così è troppo, perfino più di quello che chiedeva l’accusa. Sono amareggiato, ma voglio continuare a credere nella giustizia: non finisce qui». I difensori lo confortano nei suoi ragionamenti. «Aspettiamo la sentenza (arriverà entro novanta giorni ndr), ma possiamo già preannunciare che la impugneremo - anticipa l’avvocato Luca Ventaloro -.Credo che non siano state tenute nella dovuta considerazione le risultanze medico-legali, la dubbia credibilità della parte offesa riguardo all’esistenza di una relazione tra i due. Non credo sbagli troppo il cliente a individuare anche una valenza simbolica o educativa nel computo della pena». «Le sentenze s’impugnano e non si commentano - aggiunge l’avvocato Ippoliti -. Siamo convinti che la Corte d’appello possa valutare diversamente l’episodio riqualificando il tentato omicidio in lesioni, con tutte le conseguenza del caso». Opposta è la valutazione del legale di parte civile, avvocato Flavio Moscatt, che invece si era appellato ai giudici pretendendo una severità proporzionata alla gravità dei fatti. «Mi ritengo soddisfatto - commenta - non avevamo la pretesa di infierire, di vendicarci. Dalla parte offesa non è trapelato mai dell’astio nei confronti di Stecca, ma il mio compito era quello ci chiedere in termini civili e garbati una sentenza che fosse giusta ed è quello che è successo». Roberta Cester (vedi altro articolo in pagina ndr) non era presente in aula, mentre a sostenere l’ex campione c’erano la figlia Rachele e la moglie Fiammetta. «Tante persone semplici e importanti, anche appartenenti alle istituzioni - ragiona guardando al futuro - ci hanno testimoniato in questi mesi il loro affetto e la loro solidarietà. Adesso stiamo vivendo il momento più difficile e spero che le promesse di dare una mano a Loris non cadano nel vuoto. Abbiamo davvero bisogno che si trasformino in aiuti concreti». Loris Stecca, che ha trascorso più di un anno in carcere, si trova da quattro mesi ai domiciliari dove resterà in attesa dei successivi gradi di giudizio. Con un lavoro, avrebbe anche la possibilità di uscire e impegnarsi in un’attività. «L’idea è aprire una palestra con mio fratello Maurizio». Nella carriera è andato al tappeto due sole volte, nella vita gli sta accadendo più spesso si quanto si potesse immaginare. Saprà rialzarsi anche stavolta? Il “vecchio” pugile non ha dubbi. «La vita non finisce qui, sono abituato a combattere: ho ammesso di avere sbagliato e so di dover pagare un prezzo, anche se non così salato, perché non avevo intenzione di ucciderla e si è visto. Nel frattempo continuo a fare progetti per il futuro». Il processo che rischia di togliergli otto anni di vita gli ha restituito quello che forse più gli mancava: la ribalta. Solo così si spiega l’ostinazione con la quale si è rifiutato di farsi giudicare con il rito abbreviato che gli avrebbe “regalato” lo sconto di pena di un terzo. «Volevo far capire a tutti che anche io ero una vittima». I giudici del Tribunale, e non poteva essere altrimenti visto chi aveva preso la coltellata, non l’hanno vista così.

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