«Pantani non fu ucciso, l'omicidio va escluso»

Rimini

RIMINI. «Marco Pantani non fu ucciso». È la conclusione della nuova approfondita inchiesta sulla morte del Pirata, aperta alla fine di luglio 2014 sulla base di un esposto per omicidio presentato dalla famiglia.

La richiesta di archiviazione, affidata al procuratore capo Paolo Giovagnoli, approderà davanti al Gip nelle prossime settimane, a circa otto mesi dalla riapertura del caso (la prima indagine, anche se gli arresti scattarono dopo tre mesi durò complessivamente un anno).

Il professor Franco Tagliaro, consulente della procura di Rimini, alla luce degli esami tossicologici effettuati sui “vetrini” recuperati in laboratorio, chiude definitivamente la porta alle ricostruzioni suggestive e fantasiose, e conferma quanto già ipotizzato in una prima relazione presentata al pm nel dicembre scorso: «Il decesso - spiega Tagliaro - è dovuto primariamente al sovradosaggio di antidepressivi». La cocaina resta come “concausa”: circostanza che non intacca le conclusioni processuali che hanno portato alla condanna degli spacciatori dell’ultima dose.

Nel rispondere ai quesiti del procuratore riminese, il luminare smonta una a una le ipotesi “probabilistiche” del professor Francesco Avato (consulente della famiglia Pantani) e avvalla le conclusioni della vecchia indagine riguardo all’assenza dell’intervento di terzi. «Non sono emersi elementi tali da ipotizzare concretamente una assunzione sotto costrizione».

Una conclusione alla quale, in parallelo, sono arrivati dopo oltre sette mesi di interrogatori, anche gli investigatori della nuova indagine. «Non sono emersi elementi che facciano pensare a un omicidio», conferma Giovagnoli. Tutti i dettagli, sottoposti all’attenzione della procura dal legale della famiglia Pantani, avvocato Antonio De Rensis, si sono rivelati «non significativi o non rilevanti». Alcune ricostruzioni giornalistiche di fatti e circostanze ritenute false hanno addirittura portato i poliziotti della prima inchiesta e lo stesso procuratore ad agire legalmente con l’ipotesi di diffamazione. Nella stanza, chiusa dall’interno, quindi, Pantani era solo. Con il suo carico di farmaci, droga e disperazione. Dalla procura, anche solo in astratto, si tende anche a escludere una qualche negligenza o colpa medica (reato eventualmente prescritto). Pantani, alla vigilia della partenza per Rimini, dove aveva appuntamento con lo spacciatore, in base a quanto emerse nell’indagine, si era procurato una doppia prescrizione dei farmaci, traendo in inganno il proprio medico personale. Ansiolitici, ipnotici sedativi e soprattutto antidepressivi, in doppia dose, che avrebbe dovuto utilizzare in teoria soltanto per contrastare gli effetti dell’astinenza dalla cocaina.

Pantani era consapevole di quanto stava facendo associando grandi quantità di farmaci e droga? Il dubbio emerse anche nella prima inchiesta. E l’unica conclusione forse frettolosa di allora fu escludere pubblicamente, a priori, fin dalla prima notte, la “volontà autosoppressiva” del Pirata. «Si scelse di non parlarne», conferma uno dei vecchi investigatori. La sera prima di morire il Pirata disse a un altro ospite del residence: «Non so se ci sarà un altro giorno per me». Parole che adesso tornano attuali. Fugati i dubbi dei familiari, Pantani stavolta potrà finalmente riposare in pace.

 

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