«Ora nuova inchiesta sull'ospedale»
RAVENNA. «E’ chiaro che da oggi, anche alla luce di questi numeri, parte una nuova indagine. Faremo di tutto per capire se in ospedale a Lugo sia stato fatto davvero il possibile per evitare che si arrivasse a questo punto. Vogliamo arrivare alla verità, anche su questo». La perizia statistica che si “abbatte come un macigno” nell’inchiesta per omicidio su Daniela Poggiali, di fatto apre un nuovo filone investigativo e investe anche l’ospedale Umberto I di Lugo che torna a tremare. L’inchiesta bis - annunciata dal procuratore capo - è solo alle prime fasi, non ci sono indagati ma è chiaro che si partirà dall’ipotesi di reato più grave: quella dell’omicidio in concorso.
C’era qualcuno nell’ospedale che aiutò la Poggiali? C’era forse qualcuno che sapeva e non fece nulla per mesi, forse anni? E come è possibile che all’Umberto I nessuno si sia reso conto di nulla, nonostante quelle voci, quei sospetti, quelle statistiche? Chi avrebbe avuto il dovere di denunciare?
Queste le domande dalle quali si muove la nuova indagine affidata ai carabinieri del Reparto Operativo.
Non sarà facile arrivare in fondo, ma è impossibile far finta di niente di fronte a numeri che lasciano interdetti l’opinione pubblica e che potrebbero invece letteralmente raggelare i parenti delle quasi 200 persone decedute negli ultimi due anni nel reparto di medicina dell’ospedale Lughese.
Già all’indomani della morte di Rosa Calderoni alcuni medici e dirigenti dell’ospedale di Lugo (tre in tutto) vennero indagati per omissione di referto. In quel caso, secondo la Procura, i medici avvisarono in ritardo gli investigatori dei loro sospetti sulla Poggiali e lo fecero solo dopo un’autopsia “interna” eseguita sulla povera Rosa Calderoni e che riscontrò le prime anomalie e in particolare la presenza di potassio. Eppure, secondo il codice penale, i medici non devono informare l’autorità giudiziaria solo quando sono certi che sia stato commesso un reato, ma sono obbligati a farlo anche quando ne hanno solo il dubbio (tocca poi alla magistratura accertare i fatti). Quel comportamento non solo ritardò le indagini, ma rischiò di comprometterle. Perché prelievi e analisi se non vengono fatti dando l’opportunità all’indagato di nominare i propri consulenti rischiano di non valere come prova durante il processo. (c.d.)