Pensionata uccisa di botte per pochi euro, condannato a trent'anni di carcere

Rimini

 

RAVENNA. Trenta anni di carcere per Giuseppe Napoli, il 55enne di origini catanesi reo confesso dell’assassinio della 75enne Anna Maria Bartolotti, la pensionata ravennate massacrata di botte a scopo di rapina nel suo appartamento di via Lago di Ledro, al villaggio Anic, lo scorso 2 dicembre.

Una pena pesantissima quella inflitta ieri dal gup Antonella Guidomei, perché Napoli era a processo con il rito abbreviato e quindi ha potuto beneficiare dello sconto di un terzo della pena. Senza quel rito - scelto dall’avvocato Carlo Benini - Napoli sarebbe stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno. Mentre l’ergastolo (senza isolamento, per via della scelta del rito) era stata la pena chiesta dal pm Angela Scorza nel corso della sua requisitoria. Fu lei, nel dicembre dello scorso anno, a voler vederci chiaro su una morte all’apparenza “banale” che in un primo momento era stata catalogata dal medico legale come una tragedia dovuta a un infortunio domestico. Quel medico disse, in sintesi, che il cuore della Bartolotti aveva ceduto dopo una caduta che le aveva causato la rottura del setto nasale.

Ma la successiva autopsia - eseguita dall’anatomopatologo veronese Vito Cirielli - rilevò invece che la povera Bartolotti aveva fratture dappertutto tranne che nel naso. «Sul suo corpo - scrisse nella relazione finale il coroner - ci sono tutte lesioni previste in un manuale di medicina legale: strangolamento, strozzamento, fratture, colpi da arma da taglio».

Nonostante tutto fu la sparizione del portafoglio nero della donna (dal quale i vicini dissero che non si staccava mai) a tenere in piedi un’indagine che sembrava (di fronte al primo referto medico) destinata all’archiviazione. E così gli uomini della squadra mobile scoprirono da subito la pista buona: ovvero il legame tra la vittima e Giuseppe Napoli, ex compagno della sorella maggiore della Bartolotti, attualmente ospite di una casa di cura a causa delle sue condizioni di salute. Napoli, disoccupato di origini catanesi incensurato ma noto alle forze dell’ordine, quel giorno si era recato a casa di Anna Maria per chiederle dei soldi. La donna (una vedova che abitava da sola nella sua villetta) le offrì un caffè ma poi negò l’ennesimo aiuto economico. E così Napoli reagì con violenza: si scaraventò sul suo corpo minuto, provò a strangolarla con un maglione, poi la colpì con una tazzina e un altro oggetto contundente. Forse era già morta quando smise di colpirla. «Un black out emozionale» secondo l’avvocato Benini che ha puntato sul dolo d’impeto. Un omicidio «aggravato da crudeltà e motivi futili» secondo la procura.

Di sicuro l’ex “cognato” (che abitava in una casa popolare di via Dradi) prese poche decine di euro dal suo portafogli (poi gettato via in strada), frugò nell’armadio e rubò anche qualche anello, rivenduto il giorno dopo in un “vendo oro” del centro. Poi fece tappa in due bar, cercando di riprendersi con un whisky e una camomilla. Ma qualche ora più tardi si recò in ospedale, dove venne ricoverato per problemi cardiaci. Incastrato dai tabulati e dalle intercettazioni pochi giorni dopo confessò tutto, anche se a quel punto c’era davvero poco da aggiungere a quanto già ricostruito dagli inquirenti.

A meno di un anno dai fatti ecco il processo: Napoli era accusato anche di furto aggravato, ma per il gup quella del 2 dicembre scorso fu una rapina. A costituirsi parte civile solo una delle sue sorelle, ovvero l’ex compagna di Napoli tutelata dagli avvocati Erica Costa (amministratrice di sostegno) e Cristina Bernardo. Sarà però un giudice civile a fissare il risarcimento. Entro 90 giorni le motivazioni della sentenza.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui