L'eredità lasciata a un degente disabile usata per comprare capannoni

Rimini

RAVENNA. Secondo la versione fornita da don Paolo Pasini, la vicenda dell’indagine sulla discussa gestione del patrimonio di un ospite di Santa Teresa sarebbe limitata a «errori gestionali commessi in buona fede». Per il procuratore capo Alessandro Mancini, all’opposto, la questione configurerebbe l’ipotesi della «tentata truffa pluriaggravata in concorso». Un caso su cui il magistrato ha voluto mettere i puntini sulle i, lasciandosi andare a quelle che ha definito «precisazioni doverose» alla luce delle notizie che si sono accavallate in queste settimane. Una scelta dettata anche dai tempi dell’inchiesta, per la quale agli indagati - il direttore dimissionario dell’Opera don Paolo Pasini e l’ex coordinatore amministrativo Lorenzo Selmi, entrambi 56enni (il secondo originario di Modena) assistiti dagli avvocati Marco Martines e Valerio Girani - è già stato notificato l’avviso di garanzia. Mancini, incontrando la stampa con a fianco il luogotenente dei carabinieri Stefano Cesaretti, ha ripercorso le tappe della delicata indagine, partita nel febbraio scorso, svelando che quanto contestato al sacerdote non ruota attorno alla cifra finora circolata (150mila euro) ma ad una somma decisamente superiore: un milione e mezzo di euro. A tanto ammontava infatti il patrimonio in contanti del 60enne - disabile dalla nascita - assistito dall’istituzione religiosa. Denaro (a cui va aggiunto un immobile in centro storico) che la madre dell’uomo, scomparsa due anni fa, aveva vincolato alla cura del figlio fin quando fosse rimasto in vita. Alla sua morte, soldi e beni sarebbero stati devoluti all’istituto. Accade però che don Pasini, in qualità di tutore, con l’intento di ricapitalizzare la somma al fine di assicurare un rendimento al suo assistito, prospetti un investimento immobiliare. «L’acquisto - spiega il procuratore capo - di un complesso di capannoni industriali a Fornace Zarattini». Beni che, secondo quanto prospettato, sarebbero poi stati affittati a cooperative e enti vicini a Santa Teresa con canoni annui stimati dai 75mila ai 100mila euro. La richiesta, nonostante il momento economico sfavorevole e il ritorno molto diluito nel tempo, viene autorizzata dal giudice tutelare. Nell’ottobre scorso viene sottoscritto un preliminare di vendita con il proprietario dei capannoni (una società legata a un immobiliarista che all’epoca non aveva ancora la piena proprietà degli immobili avendoli presi in leasing). L’atto notarile, altra anomalia ravvisata dalla Procura, viene firmato a Torino. In occasione del compromesso viene corrisposta una caparra piuttosto elevata, 500mila euro, pari al 30% del valore dell’immobile, giudicata da Mancini «un atto di generosità inusuale», a maggior ragione considerando i tempi ravvicinati per la stipula, prevista a gennaio. E di atto di generosità si è nei fatti trattato dal momento che quel denaro è finito legittimamente nelle tasche del proprietario che ha anche mantenuto la disponibilità del bene. Il tutto perché è saltato il passaggio della stipula. A interrompere la trattativa è stato l’aspetto fiscale legato all’operazione, 300mila euro di cui non si era tenuto conto e che non erano nella disponibilità del disabile. A quel punto sarebbe stata studiata un’ipotesi alternativa con la costituzione di un trust, un’amministrazione fiduciaria che da un lato avrebbe consentito un risparmio d’imposta ma dall’altro avrebbe rappresentato un’anticipazione degli effetti testamentari. Una richiesta respinta dal giudice che aveva autorizzato la compravendita e che ha inviato le carte in Procura. (gi.ro.)

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