Morta dopo diagnosi tardiva, due medici a processo

Rimini

RAVENNA. Sei mesi di ritardo nel diagnosticare un tumore maligno al pancreas. Un tempo troppo lungo per riuscire a intervenire. Ed è così che nel febbraio del 2015 la paziente morì davanti agli occhi dei suoi familiari. Con l’accusa di omicidio colposo, ieri mattina è entrato nel vivo il processo a carico di un anatomopatologo e di medico gastroenterologo dell’ospedale di Ravenna. Stando alle indagini allora condotte, sarebbero state le condotte dei due medici a procurare la morte della paziente, impedendole di ricevere cure tempestive. E forse anche un intervento chirurgico avrebbero potuto offrire alla donna discrete possibilità di guarigione o comunque un periodo prolungato di sopravvivenza.

In particolare l’anatomopatologo, difeso dall’avvocato Giovanni Scudellari, nell’eseguire l’esame istologico dei tessuti, avrebbe fatto intendere di non aver riscontrato neoplasie al pancreas. Secondo l’accusa i tessuti analizzati erano però solo superficiali, e il pancreas non venne mai realmente analizzato. Allo stesso modo l’altro medico, rappresentato dal legale Ermanno Cicognani, avrebbe invece dimesso la paziente, nonostante la sua condizione fosse ancora «oscura».

La parola ai periti

L’ultima parola sul caso ora spetterà ai periti delle parti. Nel frattempo ieri mattina in Tribunale sono sfilati tutti i testimoni, sia dell’accusa che delle difese. Mentre è chiara la linea intrapresa dal pubblico ministero Stefano Stargiotti, i legali dei medici hanno chiamato sul banco dei testimoni i medici che, in quei giorni, cercarono di curare la donna insieme ai due imputati. Secondo le difese i dottori cercarono in tutti i modi di scoprire cosa stesse affliggendo la donna, prima di passare a interventi chirurgici invasivi al pancreas, che hanno oltretutto un tasso di mortalità tra i più elevati in medicina, per via della delicatezza dell’intervento. Ma a un certo punto la signora avrebbe deciso di mettere la parola fine agli esami, «forse aveva perso la fiducia in noi – ha ricordato ieri uno dei medici chiamati a testimoniare, che a stento ha trattenuto le lacrime –. Per noi quello fu un caso terribile, lo ricordo bene. E per il quale ci siamo chiesti fino a che punto saremmo dovuti arrivare. Quando poi la signora decise di tornare da noi, dopo un po’ di tempo, ormai era troppo tardi». (A.Cic.)

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