«I soldi sul mio conto? Ho venduto cimeli di Pantani»

Rimini

RAVENNA. Uno ha parlato, ammettendo in parte le accuse prima di chiedere i domiciliari, l’altro è invece rimasto in silenzio nella sua cella del carcere di Ravenna.

I due funzionari dell’ispettorato del lavoro arrestati giovedì mattina per truffa (assenteismo) corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio hanno scelto due strategie difensive differenti. Silenzio per il responsabile del servizio ispettivo Gianfranco Ferrara, 59 anni. «Vorrei prima valutare gli atti» commenta il suo legale, l’avvocato Marco Martines di Forlì. Mentre il 43enne Massimo Siviero, difeso dall’avvocato Ermanno Cicognani, ieri ha risposto per circa un’ora alle domande del gip Piervittorio Farinella. Siviero, apparso molto scosso, ha invece ammesso di aver informato alcuni imprenditori sulle ispezioni che avrebbero subito, specificando però che le informazioni gliele passava Ferrara, l’unico in grado di averle in virtù del suo ruolo. «Non ho mai preso soldi, ma solo piccoli favori, come bevute o cene». E sui 98mila euro sospetti trovati nel suo conto corrente ha detto: «Sono soldi guadagnati in discoteca o grazie a E-bay vendendo on line cimeli di ciclismo, ho avuto anche maglie di Pantani». Sull’assenteismo, invece, Siviero ha minimizzato: «Sono stato davvero male, la malattia non era inventata e spesso usavo permessi». E i giri in bici? «Esageravo al telefono con gli amici, ma non era vero». Non ha potuto invece negare di essere andato dall’estetista in orario di lavoro. «Non ricordo» ha detto Siviero. Ma in fondo non era fondamentale, visto che a seguirlo c’era un carabiniere.

Nelle prossime ore il gip deciderà se concedergli o meno i domiciliari. Nel frattempo l’inchiesta si allarga. I carabinieri del reparto Operativo - diretti dal procuratore capo Alessandro Mancini e dal sostituto Angela Scorza - stanno vagliando anche altri fronti investigativi. Capire il ruolo degli imprenditori beneficiati, di eventuali medici compiacenti, ma anche di eventuali responsabilità all’interno della Direzione provinciale del Lavoro di Ravenna. Come è stato possibile che nessuno si fosse accorto di nulla? E da quanto tempo tutto questo andava avanti? L’inchiesta, insomma, è solo all’inizio.

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