Caccia al killer, i carabinieri a Casalborsetti con i cani

Rimini

RAVENNA. Nel giorno della partenza della salma di Mor Seye, che ieri ha lasciato la camera mortuaria dopo il nullaosta per i funerali concessi nei giorni scorsi dalla Procura, proseguono a ritmo serrato le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo. «Un caso complicato» aveva rimarcato il procuratore capo Alessandro Mancini il giorno stesso dell’esecuzione dal luogo del delitto. I fatti stanno dimostrando che quella previsione era fondata e non una dichiarazione di circostanza.

A tre settimane dall’omicidio, dell’assassino non c’è traccia. Gli inquirenti hanno in mano un identikit ma sono ancora molti i tasselli che mancano. Uno riguarda l’arma utilizzata. La calibro 22 con cui è stato ucciso l’ambulante che stava mangiando un frutto su un moscone tirato in secca non è infatti ancora stata trovata; potrebbe averla portata con sé chi ha premuto il grilletto, ma intanto ieri, per non lasciare nulla di intentato, i militari sono tornati a Casalborsetti per cercarla nuovamente.

Con l’ausilio delle unità cinofile specializzate nella localizzazione di armi o esplosivi giunte da Bologna, sono state battute le strade vicine al luogo dell’agguato. Ricerche mirate a rintracciare la pistola in tombini, cassonetti e nascondigli che nel corso della giornata sono state ampliate ad un raggio sempre più ampio. Se ci fosse stata, gli animali l’avrebbero individuata, come dimostrato durante le fasi di “riscaldamento” quando i carabinieri hanno testato il loro fiuto occultando armi che sono state subito ritrovate. Concluse le ricerche senza esito, oggi verrà effettuato un nuovo sopralluogo nella zona più a nord, tra i canali e la foce del Reno.

Ancor più complicato sembra essere l’individuazione del movente. Sotto questo aspetto si indaga a 360°, dalla pista passionale a quella di screzi o debiti con qualcuno. Tutti aspetti che all’apparenza non combaciano con l’immagine del 46enne, freddato alle spalle dal killer che ha esploso conto di lui quattro colpi, tutti andati a segno, prendendosi il rischio di farlo in pieno giorno e in una spiaggia ancora piuttosto frequentata. La vittima inoltre, in Italia da una vita e residente a Lido Adriano dove si era trasferito in seguito al fallimento della ditta padovana per cui aveva lavorato per anni, aveva una fedina penale immacolata. Secondo parenti e conoscenti, non aveva nemici. Eppure, a meno che l’assassino non abbia sbagliato persona, per ucciderlo in quel modo qualcuno doveva avercela con lui. (gi.ro.)

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