Un antropologo di Ravenna svela per la prima volta il mistero di Neanderthal

Rimini

RAVENNA. Dallo studio di un giovane ricercatore dai laboratori del dipartimento di beni culturali di Ravenna la risposta a uno dei più importanti temi del dibattito scientifico antropologico: come si è estinto l’uomo di Neanderthal. Potrebbe essere stata, semplificando al massimo, la convivenza con l’uomo moderno a scalfirne la forza e dunque la sopravvivenza: o meglio una cultura di uomo moderno chiamata “Protoaurigniaziana”. Ad accertarlo, lo studio del tutto innovativo - guidato dal 37enne Stefano Benazzi, ricercatore del Dipartimento di beni culturali di Ravenna - su due denti umani da latte, unici resti della cultura Protoaurignaziana, che ora è stato possibile collegare con certezza alla specie Homo sapiens. Attraverso l’estrazione del Dna mitocondriale e le analisi digitali (queste ultime condotte proprio nei laboratori ravennati) ha permesso di attribuire all’uomo anatomicamente moderno i due denti reperiti da tempo e non ancora “assegnati”: dunque fu l’Homo sapiens l’artefice della cultura Protoaurigniaziana. Questo il cuore della ricerca appena pubblicata sulla rivista americana “Science” e condotta appunto dal team diretto da Benazzi e da 15 tecnici e studiosi del Department of Human Evolution e del Department of Evolutionary Genetics (Max Planck Institute) di Lipsia, dell’Università di Ferrara, Genova, Torino, dell’Istituto di Fisiologia clinica del Cnr di Pisa e della Soprintendenza Archeologia della Liguria. «Il significato di questi risultati - spiega il 37enne (originario di Faenza) - è che questi due denti rappresentano i resti fossili più antichi d’Europa appartenenti ai primi Homo sapiens associati con certezza ad un contesto culturale Aurigniaziano. Questi ritrovamenti suggeriscono che l’arrivo della nostra specie sul continente europeo, ed in particolare in Italia settentrionale, può aver contribuito alla sostituzione di specie e alla definitiva estinzione dell’uomo di Neanderthal, che scompare effettivamente in quest’area attorno ai 39mila anni da oggi». Ma come è stato possibile collegare con certezza quei due denti all’Homo sapiens? «Dal primo dente abbiamo estratto il dna antico mitocondriale ed è risultato appartenere alla specie di uomo moderno. Sul secondo dente è stato condotto uno studio digitale con microtomografia computerizzata, per confrontare lo smalto con una scansione di materiale neanderthaliano; considerato che quello dell’uomo di Neanderthal è molto più sottile, abbiamo accertato come il secondo dente appartenga all’uomo moderno». Una scoperta scientifica di rilevanza internazionale. Non a caso, da ieri, il telefono del giovane ricercatore è bollente. «Da New York a Londra, mi hanno contattato diverse riviste di settore - sorride con fare timido -. Il successo dello studio è stato possibile grazie all’impiego di tecnologie innovative. Magari queste ci aiuteranno ora ad assegnare meglio altri resti umani fossili non ancora attribuiti».

 

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