Arrestato aspirante terrorista

Rimini

RAVENNA. Voleva andare a combattere per la Jihad. «E’ normale che chiedo di andare nell’Is» scriveva, lanciandosi poi in proclami del tipo «si alzerà la bandiera di Allah sulla Torre di Pisa». Per questo avrebbe lasciato presto Ravenna per la Siria. Un primo viaggio era già saltato un mese fa per un intoppo burocratico; non riuscendo ad espatriare per il mancato rilascio del passaporto da parte delle autorità tunisine, aveva cercato di riorganizzarsi intensificando anche l’attività di spaccio per mettere da parte il denaro necessario. Sarebbe dovuto partire proprio ieri, facendo tappa in Germania per poi raggiungere il Medioriente. Gli uomini della Digos lo hanno fermato prima. In manette come aspirante foreign fighter è finito Noussair Louati, 27enne sposato con una ravennate e da poco padre. Nei confronti del giovane, difeso dall’avvocato Francesco Furnari, è stato emesso un provvedimento di fermo in base al nuovo articolo del codice penale che fa parte del pacchetto antiterrorismo, il 270 quater, applicato per la prima volta in Italia. Oggi la convalida.

I poliziotti lo hanno fermato nella serata di martedì alla Darsena, non lontano dall’abitazione di via Marani suo ultimo indirizzo di residenza, notificandogli l’atto emesso dai sostituti procuratori di Bologna Antonella Scandellari e Antonio Gustapane. Sbarcato a Lampedusa nel 2009, l’anno seguente si è sposato. A Ravenna lo si vedeva spesso dalle parti di viale Farini e dei Giardini Speyer come testimoniano le varie immagini postate sul suo profilo Facebook, destinate inevitabilmente a rinnovare le polemiche sulla zona. Frequentava in modo saltuario la moschea delle Bassette, ma non è chiaro se fosse integralista da sempre o se si sia avvicinato all’Islam radicale più di recente; accertamenti sono in corso anche per appurare legami con gli altri “martiri” transitati da Ravenna. Di certo dal febbraio scorso, da quando cioè si sono concentrate le indagini sul suo conto, non mancava di manifestare il suo orientamento come emerge dalle intercettazioni. L’11 febbraio si era anche recato al centro culturale islamico di viale Jenner a Milano proprio per chiedere un aiuto economico per raggiungere la Siria e combattere «con i fratelli» ma l’imam lo aveva allontanato minacciando di chiamare le forze dell’ordine. Forze dell’ordine che invece erano intervenute quando, il giorno seguente, era andato al consolato tunisino di Genova dove, alterato per non essere riuscito a ottenere il passaporto, aveva minacciato gli impiegati danneggiando l’ufficio. Il 21 marzo aveva acquistato un biglietto aereo di sola andata per la Turchia. Sarebbe dovuto partire la sera del 26 e nella mattinata dello stesso giorno si era recato nuovamente al consolato. Ma senza passaporto non era potuto salire sull’aereo facendo un mesto ritorno in Romagna in compagnia di un connazionale di Forlì che gli avrebbe poi indicato un immobile abbandonato dove passare la notte. Sconsolato, aveva chiamato la moglie riferendogli, mentendole, che senza il documento non sarebbe potuto andare in Germania e nemmeno a Milano in cerca di lavoro. In lacrime le aveva detto che non sapeva cosa fare, se tornare in Tunisia dove però a suo dire doveva scontare 15 anni di carcere o suicidarsi. Superato lo sconforto si era però riorganizzato, spacciando per racimolare i soldi per il viaggio. Sapeva di essere ricercato ed era deciso a partire tanto da porre un imperativo ad un connazionale del Riminese che sarebbe dovuto andare con lui: «Dimmi cosa vuoi fare. Vado anche solo. Non posso più aspettare».

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