Il ministro Giuliano Poletti: «La cassa integrazione non è eterna»

Rimini

IMOLA. «Ma un ministro ci può andare ancora in ferie in campeggio a Pinarella?». I dubbi della signora Poletti all’annuncio della nomina fatta da Matteo Renzi premier, li fuga lo stesso marito e ministro Giuliano Poletti davanti ai 470 sostenitori del Pd che ieri sera lo hanno accolto alla cena di finanziamento annuale, platea che il ministro ha appena salutato semplicemente con un “Ciao”. Insomma Poletti rassicura la consorte e con lei tutti quanti : «Al campeggio ci posso andare eccome anche da ministro, non c’è regola in natura che mi cambi. Perché io là, a Roma, seguo la stessa logica che per 40 anni ho seguito, come segretario del Pci di Imola, come assessore all’agricoltura, a casa mia, alla Legacoop, ora là. Questo produce meraviglia e questo meraviglia me. Ma dico io: cosa posso garantire io se non di fare quello che ho fatto fino a ieri: essere coerente con i miei principi e puntare a ottenere un risultato?». E da dove viene, geograficamente e politicamente che poi è quasi la stessa cosa, è noto. «Mi danno del precarizzatore? Io ci ho finito le tonsille su questa storia del decreto lavoro. Ma lo ridico perché sono numeri e io parto da quelli: negli ultimi tre mesi del 2013 il 68% dei contratti erano a tempo determinato e si sono chiusi, mettiamoci un 11% di apprendistato, gli stabilizzati sono al massimo il 12%. Se un’impresa non ha strumenti per stabilizzare i lavoratori usa le regole che ci sono e fa contratti di sei mesi, poi via uno e dentro un altro e così via: 6 persone in 36 mesi. Ora dico io, non è meglio che uno solo il lavoro ce l’abbia per almeno 36 mesi? E’ matematica, o perlomeno noi a Mordano ragioniamo così». Sulla questione, che comunque a livello nazionale continua a dividere lo stesso suo partito, a Imola il ministro un applauso invece lo strappa. Poi ripercorre i temi già resi noti nelle interviste di ieri al quotidiano la Repubblica. Primo il “piano garanzia per i giovani” che lui vuol far partire proprio il Primo maggio. A descriverlo si attarda volentieri con i giovani democratici sulla soglia della sala da pranzo del Molino rosso. «Il bacino potenziale è di 900 mila giovani che nell’arco di 24 mesi riceveranno un’opportunità di inserimento, lavoro, servizio civile, stage, quello che è importante è che nessuno prima si era occupato di far sì che fossero le istituzioni a rispondere ai giovani finita la scuola. Ora lo facciamo». La rete era stata messa in piedi dal suo predecessore Enrico Giovannini e lo ammette: «Era stato fatto un grande lavoro, ma mi sono chiesto quando sono arrivato: e dopo lo sportello di collocamento cosa c’è? La formazione mi ha detto quello che lavora con me. Per carità... e sono andato dai gruppi industriali italiani a chiedere cosa ci potevano mettere loro perché dietro ci devono essere le imprese, lì ci deve essere la risposta a quello che il primo problema che questo governo ha: l’occupazione, il lavoro». Fra un numero e una percentuale, una massima di saggezza popolare a cavallo col dialetto, Poletti racconta la sua visione del futuro partendo da quello che ha trovato arrivando al governo: «Dopo otto minuti che ero lì ho capito che quello non era il ministero del lavoro ma il ministero della disoccupazione. La fila c’era solo per venire a chiedere della cassa integrazione. Ma quando un’impresa ha chiuso continuare in attesa di qualcosa che si sa che non arriverà non ha senso. Il sistema della cassa integrazione è per crisi brevi altrimenti si arriva dove siamo ora e i costi non li possiamo più sostenere». Vale per tutti, anche per le crisi locali: Galeati, Cognetex... «Gli ammortizzatori ci sono, non sono stati abrogati, ma quello che dico è che non sono eterni. Il ministero farà la propria parte ma l’importante è soprattutto che qui ci sono imprenditori pronti a rilanciare le imprese».

E via di metafora per continuare a spiegare il suo piano di azione. «Se non si cambia è come se si dicesse a una persona su una riva di un fiume vai di là, ma non c’è un ponte per attraversare e ci si stupisce che non si butti. Accendiamo lampade sull’altra sponda e costruiamo qualche ponte un po’ alla volta. Non si può dare 300 euro a uno che ha perso il lavoro e dire ok adesso stai a casa e zitto. I cittadini devono uscire di casa, anche chi ha perso il lavoro, nessuno deve restare senza niente da fare ad aspettare. Serve una mentalità nuova e si dirà che è filosofia, ma è filosofia con un pacco di miliardi di euro dietro». Esempi? «Il primo protocollo che abbiamo siglato con Finmeccanica a Bari che si impegna ad assumere 5000 giovani dopo aver visionato 20mila curricula che altrimenti sarebbero solo stati buttati nel cestino». Poi ci sono le regole e i contratti «ma quelli non sono l’essenza» è chiaro il Poletti pensiero. E in mezzo ci casca anche il sindacato, che però, dice, «non è il problema. Il sindacato ha solo le difficoltà che abbiamo tutti: ci affezioniamo a ciò che conosciamo, e facciamo fatica a renderci conto che quello che abbiamo già visto ci ha portati fin qui e allora dovremmo capire che è ora di cambiare». Già, sindacato a parte, e a parte anche la quota di partito che non annuisce? «Si discuterà, è normale, sarebbe ben strano il contrario nel Pd. E se c’è da cambiare due parole le cambieremo, ma fare ostruzionismo sarebbe cosa ben differente. Io sono convinto che queste sono proposte giuste. Ma non ho la scienza infusa, nessuno ce l’ha e allora dico partiamo perché gli italiani hanno bisogno di sapere che le cose si possono fare, non si può sempre solo parlarne. Poi vediamo sei mesi dopo che siamo partiti. Sarà faticoso, ci scoppieranno in mano tanti problemi, ma io seguo la regola Poletti che è: pensaci bene, parti, se va bene vai avanti, sennò cambi soluzione. Ma parti, non c’è più tempo per ballonzolarci intorno».

 

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