"Sei di Imola se..."La memoria condivisa dilaga su Facebook

Rimini

IMOLA. La memoria è virale. Persone sconosciute fra loro che scoprono di avere in circolo gli stessi ricordi. Immagini di un’infanzia o di un’adolescenza comune in cui magari han condiviso corse in bicicletta, “scattinate” e calci a un pallone sulla stessa erba o sullo stesso asfalto, hanno masticato le stesse passioni sportive, frequentato le stesse panchine su cui scambiare primi o ultimi baci. Si sono emozionati per quegli allora rari ma potentissimi rombi che una volta all’anno si alzavano dalla pista e voleva dire due cose: che era arrivata la primavera e che per tre giorni Imola avrebbe profumato di tigli e benzina insieme, sarebbe stata l’ombelico del mondo in cui immergersi e spassarsela o da cui fuggire a gambe levate per tornare finita la “rumba” come se niente fosse.

Madeleine che sanno di pizzette del centro avvolte in carta oleata, coni di gelaterie ormai evaporate, odore di carte da gioco consunte e panni affumicati di biliardo di bar buoni per le giornate da pensionati o le mattinate da studenti in fuga che allora credevano di agire di nascosto.

La pagina “Sei di Imola se...” nata come molte altre su Facebook, in tre notti ha tenuto incollate centinaia di imolesi (oltre 2000 i contatti, destinati a lievitare, accumulati in poco più di 72 ore), avvolgendoli nel vortice di una memoria condivisa delle piccole cose, di quelle che non finiranno nemmeno su libri di storia locale, ma che a guardarle così tutte insieme, di seguito o aggrovigliate l’una all’altra grazie a una ragnatela di “mi piace” e commenti danno corpo a una memoria collettiva che diverte e a tratti commuove.

Antropologia provinciale applicata. I ricordi tradiscono ovviamente l’età di chi li partorisce, svelano la stratificazione e l’evolversi degli usi e delle esperienze, flussi di coscienza e del frullo di una città. Ma i luoghi del cuore degli imolesi, anche attraverso le modifiche operate dal tempo e dai costumi, sono ovviamente sempre quelli: i portici del centro, le Acque, l’autodromo, il parco Tozzoni. Con il corollario di sapori, colori, immagini, emozioni che magari hanno packaging differenti, ma in fondo stessa sostanza.

Tra i sapori in una ipotetica hit parade il primo posto ha necessariamente sapore di pizza. Siano quelle piegate a metà e incartate da portar via o servite in piatti fondi dai “Nanetti” di via Mazzini, che “Nanetti” non sono più, o quelle piccole da mangiare a due a due, una sull’altra e in due morsi, dopo una interminabile fila d’attesa. Quelle ci sono ancora, anche la fila, da decenni cotte nel forno a legna sotto i portici della Casa del fascio, prima da una insondabile e perennemente imbronciata coppia e oggi da giovani e sorridenti soci che con la licenza han comprato anche la ricetta e stanno cercando di convincere tutti che no, certe cose non cambieranno mai. Il sapore del gelato di Sasso, gelataio col carretto, gusto limone o cioccolato fra due rettangoli di cialda, poche centinaia di lire, quello invece non tornerà proprio mai più.

Non ci mette poi molto a uscire dai cassetti dei ricordi l’azzurro scrostato dei dondoli di una “bambinopoli” che non esiste più, ma nemmeno da tanto, o l’acqua corrente, o puzzolente, di fontane ormai seccate, il cinema porno quasi sotto all’orologio, e anche altri cinema con relative maschere e venditori di brustulli spariti nella stessa progressiva dissolvenza, vie Gluck di periferie oggi tanto più vicine al centro città.

Chi ha sulle spalle qualche anno in più salta a piè pari discoteche collinari o avvolte nella nebbia già conselicese, roba da quarantenni e a scendere, ma preferisce ricordare botteghe che sembravano paesi dei balocchi o paradisi. Ok: quanti hanno varcato la soglia delle Righini? Bottegaie canute già decenni fa che vendevano giocattoli e molto di più laddove oggi c’è la porta d’accesso alla biblioteca comunale? Tanti. Poi le botteghe che nella parlata imolese doc portano ancora i nomi che hanno avuto per la maggior parte della loro esistenza, vedi Cantagalli o il bar Ferrari, nessun imolese si prende nemmeno la briga di imparare i loro nuovi nomi, che tanto non darebbero alcuna indicazione utile all’orientamento.

Poi ci sono i personaggi, quelli che non ci sono più, quelli che tutti si chiedono dove siano finiti, o che si vedono sempre più di rado. Il venditore di bambole col sombrero Zizì. Poi Jeims su tutti, a cui una sigaretta o cento lire nessuno le ha mai negate e anzi quando qualche anno fa qualcuno lo dette per deceduto, sempre su facebook, si scatenò un sentito ma prematuro cordoglio generale.

Di "matti" e tipi strani ognuno ha il suo: quello che si arrotolava le sigarette con la carta della Gazzetta, quello che invitava a far l’amore le donne e le ragazze che passavano davanti all’Osservanza, quelli che facevano teneramente coppia, il gioviale Baladelli che la leggenda vuole tramutato in quel che è per una triste vicenda personale. Quelli come il forse davvero geniale Ighina e le sue eliche per generare energia e pioggia anti Gran premio. O ancora quelli come il laureato al Dams Mezzini che matti non sono e anzi son dottori e per colpa o in virtù di ciò per decenni hanno vissuto scalzi e in mutande, anche d’inverno, pedalando con le mani o giocando a calcetto a piedi nudi con generazioni di liceali.

Amarcord Imola, quella che c’era, che in parte c’è ancora anche se è cambiata come è giusto e normale che sia. Perché in fondo anche Mezzini non gira più scalzo e anzi indossa scarponcini pelosi, quasi alla moda, per l’inverno. Un’Imola che a metterci 50 centesimi per ogni “mi piace” di questa pagina quasi quasi riapriresti il cinema Astoria.

Che poi magari basterebbe anche solo uscire di qua, dalla rete, e tornare a fare una “vasca” e due chiacchiere faccia a faccia in centro un po’ più spesso. Perché, imolesi, Imola è sempre lì.

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