Reputazione della democrazia italiana

Rimini

Il centro studi Eurispes ha pubblicato una ricerca sulla corruzione in Italia. Uno studio curato dal magistrato Giovanni Tartaglia Polcini e presentato dal magistrato Raffaele Cantone, presidente dell’agenzia nazionale anticorruzione.

L’Italia non è un Paese corrotto. Non nel senso che in Italia non ci sia la corruzione, no. Nel senso che il racconto di questi anni, decenni, di un Paese ai vertici della corruzione nel mondo è falso. L’Italia è invece in cima al mondo per il distacco fra corruzione percepita e realtà. Un organismo come Transparency International ha collocato l’Italia al sessantanovesimo posto al mondo, con un indice di corruzione percepita pari all’ 85%. Peggio di alcuni Paesi africani.

Secondo gli studi Eurispes si arriva anche al 90%. Ma alla domanda specifica posta ad un campione, su base scientifica, di cittadini, se negli ultimi mesi avessero vissuto loro o membri della propria famiglia, un caso di corruzione, si è avuta una risposta in linea con le nazioni più avanzate e con meno corruzione. Anche i dati del Viminale registrano un crollo dei reati contro la pubblica amministrazione. Quindi la realtà è un’altra. Siamo di fronte ad un pensiero che si è diffuso per sentito dire, “e quando ho voglia di pensare penso per sentito dire”, canta Giorgio Gaber ne “Il conformista”. Un conformismo italiano che ha falsato le dinamiche democratiche, distrutto la reputazione della democrazia, della politica, dei partiti. Da Tangentopoli in poi. Che ha inciso profondamente sulla legislazione, creando rigidità, sfiducia nelle istituzioni, immobilismo, paura. Che ha travolto gli equilibri democratici, togliendo sempre più ruolo agli organismi eletti, sino a sfigurarne la funzione e la reputazione, per trasferire potere alla magistratura e alle burocrazie. La democratura, direbbe Angelo Panebianco. Con la pretesa di combattere la corruzione ipernormando tutto, per via induttiva. Con la spinta compulsiva dei media. Creando così paralisi e immobilismo nelle amministrazioni pubbliche e abbassando molto la qualità del personale politico eletto. Chi si candida sapendo di avere possibilità altissime di passare le pene dell’inferno nei tribunali e di subire la gogna sui giornali e nelle trasmissioni televisive, dei professionisti dell’anticorruzione e la macchia perenne sui social e nella rete, per un presunto abuso d’ufficio o per un immaginario traffico di influenza?

Chi fa impresa sapendo che in via induttiva e preventiva, prima di un processo, lo Stato può sequestrarti i tuoi beni e mandare a gambe all’aria la tua impresa?

Il racconto di un Paese dominato dalla corruzione ha portato la cultura del sospetto a farsi norma.

E strumento di lotta politica, feroce, vile.

Strumento che ha influenzato enormemente le dinamiche politiche ed elettorali. Prima il problema erano Craxi, Andreotti e Forlani, poi dopo il loro rovesciamento violento, si è passati a Prodi, Berlusconi, D’Alema, poi a Renzi. Tutti ladri o quasi, tutti colpevoli, tutti sospettati, molti inquisiti. Come quasi tutti i sindaci italiani. Gogna per tutti.

Per arrivare a Salvini e a Di Maio e Di Battista o Toninelli o Bonafede.

Riflettere, bisognerebbe riflettere.

Dovrebbe farlo la stampa che ha sempre il dito puntato.

Dovrebbe farlo la magistratura oggi sotto attacco, come i giornalisti, da parte di chi ha portato all’incasso, in chiave populista, la propaganda anticorruzione.

Facendo anche una riflessione di questo tipo. La stessa che fa Eurispes.

Come è possibile che nel Paese in cui è garantita l’autonomia assoluta del Pubblico Ministero, l’indipendenza della magistratura, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’assoluta libertà di stampa in ordine alle notizie di reato sin dalle prime battute delle indagini, più l’Agenzia anticorruzione, combinazione unica al mondo, vi sia la più alta percezione della corruzione?

C’è corruzione nonostante questi poteri? Allora bisognerebbe riflettere sul loro ruolo e sulla efficacia.

Oppure, la percezione è alimentata proprio da questo?

Il dramma è che adesso le risposte sono nelle mani di Salvini e Bonafede.

(*) già Parlamentare

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