«Lasciato morire d’overdose», a Ravenna gli amici a processo

Rimini

RAVENNA. È stata fissata l’udienza preliminare davanti al gup Janos Barlotti per la morte di Matteo “Balla” Ballardini. Un passaggio che segue la richiesta di rinvio a giudizio depositata il 6 dicembre scorso dal procuratore capo Alessandro Mancini e dal sostituto procuratore Marilù Gattelli nei confronti dei quattro amici del 19enne trovato morto il 12 aprile del 2017 a Lugo. Due di loro si trovano agli arresti domiciliari: sono la 22enne di Lavezzola Beatrice Marani, difesa dall’avvocato Fabrizio Capucci e attualmente in cura presso una comunità; e il 28enne di origini brasiliane Leonardo Morara, difeso dall’avvocato Pierluigi Barone. Sono invece liberi Simone Giovanni Palombo, lughese di 22 anni tutelato dall’avvocato Raffaele Coletta, e Ayoub Kobabi, marocchino di 24 anni residente anche lui a Lugo e difeso dai legali Nicola Laghi e Guido Pirazzoli. Su tutti pesa l’accusa più pesante: omicidio volontario.

Una posizione, quella della Procura, avvalorata dalle 160 pagine dell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Andrea Galanti, che lo scorso 13 giugno ha portato all’arresto dei quattro a conclusione delle corpose indagini condotte dalla Squadra Mobile della questura, descrivendo per ciascuno le “condotte attive” nella morte del 19enne. Tanto da chiudere le indagini con accuse che contemplano il concorso di colpa, i motivi abbietti e la crudeltà tra le aggravanti plurime.

Tutti coinvolti

Quella notte tutti e quattro gli imputati avevano interesse affinché nessuno, specialmente le forze dell’ordine, li trovasse accanto a “Balla” ridotto in tali condizioni. Né durante quelle ore di follia, né dopo.

La Marani aveva ceduto al giovane le due dosi di metadone fin dalla prima parte della serata finché, attorno alle 23, il ragazzo non aveva accusato un malore. Una responsabilità che - dopo il decesso, a indagini in corso - l’aveva portata a incolpare un altro straniero, poi risultato estraneo ai fatti. Morara, dal canto suo, aveva portato quella sera celle dosi di cocaina e, a sua volta aveva guidato senza avere la patente la Volkswagen Polo intestata alla madre di Ballardini, per spostarla in un luogo più appartato. Palombo invece, aveva portato l’hashish consumato dalla 22enne e dalla vittima prima che perdesse i sensi. Kobabi infine, era irregolare sul territorio, dunque clandestino. Così, le “condotte attive” mosse nell’ambito di un “deserto morale” - per usare le parole del gip - portarono alla scelta drammatica. Quella di lasciare l’amico in piena overdose, chiuso in auto nel parcheggio assolato di via San Giorgio, con il cellulare spento e dopo aver festeggiato con alcol e droga tutta la notte.

Davanti al gup anche i genitori della vittima - tutelati dall’avvocato Alberto Padovani del foro di Bologna - potrebbero costituirsi parte civile.

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