Morte del “Balla”. Ecco le ragioni della scarcerazione dei quattro amici

Rimini

RAVENNA. Dei quattro ragazzi che passarono tutta la notte assieme all’amico in overdose, due non fecero nulla per salvargli la vita. Per gli altri, invece, si conferma l’ipotesi di omicidio volontario aggravato, accusa secondo la quale «la morte della vittima non è stata intenzionalmente voluta ma rappresentata e prevista con dolo eventuale». In altre parole, i ragazzi agirono accettando il rischio che l’amico morisse. Così il Tribunale del Riesame riscrive la morte di Matteo “Balla” Ballardini, nelle motivazioni delle sentenze che il 2 e il 6 luglio hanno disposto la scarcerazione per tutti, liberando il 24enne di origine marocchina Ayoub Kobabi (difeso dagli avvocati Nicola Laghi e Guido Pirazzoli) e il 21enne lughese Simone Giovanni Palombo (difeso dall’avvocato Raffaele Coletta), e affidando agli arresti domiciliari invece il 27enne lughese Leonardo Morara e la 21enne Beatrice Marani (tutelati dagli avvocati Pierluigi Barone e Fabrizio Capucci).

Omissione di soccorso

I quattro erano finiti in carcere lo scorso 13 giugno sulla base dell’ordinanza di custodia cautelare vergata dal gip Andrea Galanti: 160 pagine dettagliate e fondate sulle meticolose indagini della Squadra Mobile coordinate dal procuratore capo Alessandro Mancini e dal sostituto procuratore Marilù Gattelli. Testimonianze di amici, registrazioni clandestine fatte durante i racconti dopo la tragedia e intercettazioni telefoniche avevano mostrato quello che il gip descrive come un “deserto morale” diffuso, in una rete di giovanissimi coetanei. Ma l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato che si era abbattuto indistintamente su tutti e quattro gli indagati, per i magistrati bolognesi Alberto Albiani, Andrea Santucci e Rossana Maria Oggioni dev’essere ripartita alla luce dei diversi comportamenti di quella tragica nottata. Kobabi e Palombo, scrivono i giudici, «si reputa che non possano essere ritenuti autori di condotta attiva nella causazione della morte del Ballardini». Certo, spostarono il corpo esanime del 19enne da un sedile all’altro dell’auto intestata alla madre, rimasero a bordo tutta la notte guidando dal parcheggio del Mc Drive al Gran Bar, e poi si appartarono in un parcheggio privato proseguendo la nottata tra birra, cocaina e musica a tutto volume. Ma le loro condotte, rilevano i giudici, «sono del tutto neutre rispetto al percorso che ha portato Ballardini alla morte». Di fatto, secondo l’interpretazione dei giudici, la loro fu omissione di soccorso.

Inquinamento prove

Osservazioni diverse per gli altri due. La 21enne Marani, che fornì al “Balla” (uscito il giorno prima da un trattamento sanitario durato una settimana) il mix letale di metadone e antidepressivi, e il 27enne Morara, ultimo rimasto a vegliare sull’amico incosciente, che lo abbandonò chiuso a chiave nella Volkswagen Polo a mezzogiorno per andare al lavoro, ritrovandolo ormai morto quattro ore più tardi.

È però nei confronti della ragazza, ritenuta nell’ordinanza del gip la manipolatrice del gruppo, che il tribunale del Riesame continua a ravvisare il pericolo di reiterazione e di inquinamento delle prove, affermando che anche a un anno di distanza dai fatti «non esiterebbe a interferire nuovamente su elementi di prova». Per questo i giudici, pur concedendo la scarcerazione, hanno disposto i domiciliari all’interno della comunità di recupero situata nel Forlivese, dove la ragazza proseguirà il programma di riabilitazione che aveva iniziato già nelle settimane dopo la tragica e folle nottata di un anno fa, costata la vita al “Balla”.

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