Avvelenamento di sostanze alimentari. La procura ipotizza il sabotaggio

Rimini

RIMINI. “Avvelenamento di sostanze alimentari”, un reato che presuppone un sabotaggio e in caso di morte prevede la pena dell’ergastolo. È l’ipotesi provvisoria sulla quale sta indagando la procura di Rimini riguardo alla tragica fine di Stefano Amadori, il 54enne idraulico di Sant’Andrea in Casale (San Clemente). L’autopsia, effettuata ieri dal medico legale Donatella Fedeli, ha confermato che la causa del decesso è l’assunzione di un potente acido corrosivo che ha provocato lesioni irreversibili al tratto gastrointestinale superiore (esofago e faringe “bruciati” e stomaco ridotto a un velo).

L’uomo, nel chiedere aiuto prima che gli eventi precipitassero, ha raccontato ai soccorritori di essersi sentito male dopo aver bevuto dell’aranciata di una marca molto diffusa da una bottiglia di plastica acquistata il giorno prima dalla moglie al supermercato. A scopo cautelativo i carabinieri del nucleo operativo di Riccione, come anticipato ieri, hanno provveduto a sequestrare in un centro commerciale di Rimini l’intero “lotto” al quale apparteneva la bibita (25-30 bottiglie in tutto) allo scopo di verificarne il contenuto ed escluderle alla vendita. Spesso, in questi casi, si finisce per scoprire che, all’origine della tragedia, c’è un banale errore: qualcuno che chissà perché travasa un acido o un detersivo in una bottiglia vuota, prima dello scambio fatale. È la ragione per cui i militari all’interno dell’abitazione della famiglia della vittima, oltre al residuo contenuto nella bottiglia di aranciata (appoggiata sul lavandino) hanno sequestrato anche un bicchiere, altre bottiglie e contenitori. Amadori, per lenire il bruciore, avrebbe bevuto anche dell’acqua, ma non si esclude che, sotto choc, possa essersi confuso nel racconto. L’esito delle perizie tossicologiche dovrebbe conoscersi tra oggi e domani: è stata disposta anche una comparazione tra la sostanza residua e il contenuto di un campione delle bottiglie sequestrate.

L’“incidente” è accaduto nella tarda mattinata di martedì scorso, 25 aprile: in quel momento era in casa da solo. È stato lui stesso a chiamare sia il 118 sia la moglie, circostanza che, a rigor di logica, sembra escludere il gesto autolesionistico. Pur nel dolore e nello smarrimento per la perdita, la famiglia appare unita e convincente nell’escludere che il loro congiunto fosse afflitto da problemi personali, economici o sentimentali. La moglie, distrutta e «senza parole» ha raccontato di aver comprato lei stessa la bottiglia di aranciata da un litro «perché avevamo in programma di ordinare la pizza e mangiarla a casa». Stando al suo racconto era integra ed è presumibile che sia stato proprio il marito ad aprirla. Per quale ragione, in condizioni di emergenza, lui poi avrebbe dovuto mentire ai suoi soccorritori? «Correte, ho bevuto dell’aranciata, sento bruciare lo stomaco». Un’altra circostanza sulla quale sono in corso accertamenti riguarda, infine, eventuali vecchi accessi in ospedale dell’uomo: avrebbe accusato disturbi gastrici, legati probabilmente all’ulcera. Gli investigatori non intendono tralasciare nessuna ipotesi, almeno fino all’esito delle analisi sull’aranciata. Dalla più banale a scenari inquietanti.

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