«Il suo corpo profumava», la madre voleva portare il cadavere in Russia

Rimini

RIMINI. L’unica domanda rimasta senza risposta è: perchè l’ha fatto, perchè ha gettato via il corpo di sua figlia? E forse rimarrà tale per sempre. Gulnara Laktionova non sa ripetere altro che «non so» quando il pm Davide Ercolani gliela ripropone a più riprese durante l’interrogatorio durato tre ore e mezza sabato sera in questura. Per il resto tutto sembra ormai abbastanza chiaro, benché agghiacciante: una madre ha vegliato il cadavere di sua figlia per sette notti, poi, resasi conto che non poteva portarla in Russia con sé, ha deciso di chiuderla in un trolley e buttarla nelle acque del portocanale. «Ho dormito sempre con lei, il suo corpo profumava» ha risposto lasciando increduli i presenti che si chiedevano come fosse possibile dormire in un bilocale con un cadavere in stato di decomposizione senza sentirne l’odore. Una ricostruzione, quella fatta appena sbarcata dall’aereo, «abbastanza traumatrica», l’ha definita il legale della donna, avvocato Mario Scarpa, ma che, se da un lato dimostra la “pazzia” sprigionata da un dolore enorme, dall’altro non esime la 48enne badante russa dai maltrattamenti e dall’occultamento di cadavere: queste le accuse per non essersi presa cura di sua figlia Katerina, 27enne, malata di anoressia. Gulnara voleva portare il corpo di sua figlia morta con sé in Russia. «Avevamo deciso di tornare là insieme - ha spiegato - ma lei temeva che la lasciassi là. Voleva vivere in Italia, non voleva tornaci». E quando si è resa conto di non potere portare un cadavere nella valigia in aereo «perchè ci sono i metaldetector» ha spiegato, ha deciso di abbandonarlo in mare. «Ma ho fatto tutto da sola» ha giurato, cercando di fugare i dubbi che qualcuno l’abbia aiutata a disfarsi del corpo. La ricostruzione della mattina del 18 marzo, quando la 48enne è partita alle 9.30 con un volo per la Russia, è abbastanza chiara e suffragata dalle telecamere: verso le 7.30 è uscita di casa (abitava in via Farini) ha buttato vari sacchi della spazzatura e poi ha attraversato via Bastioni Settentrionali per arrivare al porto canale scendendo sulla banchina dalle scale, portando agilmente quel trolley con 31 chili dentro, il peso di sua figlia morta consunta dall’anoressia. «Eppure mi sembrava che negli ultimi giorni stesse meglio» ha detto, non riuscendo a spiegare perchè dal 10 al 18 aprile ha continuato ad andare a lavorare come badante, tornando a casa per dormire accanto al corpo senza vita di Katerina. La donna probabilmente verrà riascoltata: si vuole capire quale cure ha fatto la 27enne per dimostrare che se è vero che l’anoressia è una malattia difficile da curare, forse la madre non ha fatto tutto il possibile per salvarla.

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