Paguro, 50 anni fa l'esplosione

Rimini

RAVENNA. Era sera, il 28 settembre di 50 anni fa quando una colonna di gas ad altissima pressione invase la piattaforma “Paguro” dell’Agip posizionata sul pozzo Porto Corsini 7, a 11 miglia dal porto di Marina di Ravenna: prima che esplodesse l’inferno di fuoco, i 38 membri dell’equipaggio cercarono di mettersi in salvo. Tre morirono annegati. La piattaforma prese fuoco l’indomani e crollò, liquefatta, in poche ore creando sul fondale un cratere profondo 33 metri. Per tre mesi, il gas fuoriuscito a pressione folle, bruciò sul pelo dell’acqua con una lingua di fuoco alta fino a 60 metri e che, visibile dalla costa, illuminava il mare a giorno anche di notte. Commemorazione ieri a Marina per ricordare la tragedia: «Quel relitto in fondo al mare - ha detto il sindaco - è il simbolo del coraggio e della forza dei ravennati che hanno saputo, dopo quella tragedia, trovare la spinta per fare qualcosa di nuovo e di importante per la nostra comunità».

Arturo Biagini, 41 anni, Pietro Perri di 31, Bernardo Gervasoni di appena 19 anni. Eccole le vittime che ieri, con la benedizione di monsignor Alberto Graziani e il saluto del sindaco Fabrizio Matteucci, Ravenna ha voluto ricordare con lo sguardo rivolto al relitto in fondo al mare, dal molo di Marina. Alla cerimonia - che non si è potuta tenere al largo, come da programma, per via del mare mosso - erano presenti i familiari di una delle vittime, Perri: la moglie e la figlia che all’epoca della tragedia aveva appena due anni. E c’era anche Bruno Mazzotti, uno dei 35 sopravvissuti. «La Paguro aveva trovato un giacimento di metano a 2.900 metri sotto il livello del mare - spiega Giovanni Fucci, presidente dell’associazione Paguro che da anni porta avanti gli studi e le iniziative per tenere vivo quel ricordo – ma scavando andò a toccare anche un’altra sacca non prevista che conteneva gas ad altissima pressione. Il metano eruttò e uscì fuori a una tale velocità che mise fuori uso le valvole di sicurezza». La piattaforma venne abbandonata e l’incendio esplose solo l’indomani. «Il calore era tale e duraturo che la piattaforma si sciolse e crollò. Solo dopo tre mesi - ricorda Fucci -, si riuscì a intercettare il pozzo sotto terra e a cementarlo, chiudendo la fuoriuscita. Da allora, il relitto è rimasto sul fondo creando un ecosistema particolarissimo e affascinante: dalla morte, la vita». «Oggi il Paguro - ha detto il sindaco - non è solo un monumento in fondo al mare che ci ricorda quella tragedia, ma è diventato oggetto di studio e di interesse scientifico per chi ama sondare i fondali marini. Quel relitto è qualcosa di vivo, è il simbolo del fortissimo legame di Ravenna con il mare, è un pezzo di storia della nostra città». (p.c.)

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