E' sotto la Prefettura il bunker di Mussolini

Rimini

FORLÌ. Una botola di ferro a prima vista insignificante, tra il terrapieno e lo spiazzo della corte interna. E, sotto, una scala a pioli che porta a un groviglio di stanze ricavate cinque metri sotto al livello del suolo. Spunta un bunker nel giardino della Prefettura di Forlì, dove tra il 1936 e il ’37 l’architetto Cesare Bazzani realizzò la residenza per Benito Mussolini. L’ultimo tra i rifugi antiaerei che il Duce volle per proteggere sé e la sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale, al pari di quelli realizzati a Villa Torlonia e Palazzo Venezia a Roma.

Non si tratta di una cantina adattata a ricovero antiaereo, è un vero e proprio fortino in cemento armato, scavato in profondità in un secondo momento rispetto al palazzo Piazza-Paulucci. Nessun documento ufficiale ne parla, l’ultimo a mettervi piede è stato il prefetto Salvatore Montanaro.

Da allora l’oscurità è tornata a regnare sovrana nel bunker segreto di Forlì. La Prefettura in questi giorni ha dato alle stampe una pubblicazione dove ricostruisce la storia della residenza e, per la prima volta, diffonde la notizia della presenza di un ricovero antigas sotterraneo ormai inagibile.

Solo accompagnati dai Vigili del Fuoco è stato possibile visitarlo. Buio pesto e acqua alla caviglia caratterizzano l’intera struttura, che poteva accogliere ben 180 persone. C’era una scala in muratura per scendere, oggi quell’accesso è stato bloccato dall’esterno, più due vie di fuga per risalire attraverso i tombini. Sotto si rivela un grande labirinto articolato in più di quindici vani, isolabili uno dall’altro attraverso porte ermetiche, sulle quali spicca la targa della Società anonima Bergomi di Milano, ditta specializzata nelle costruzioni in metalli per i ricoveri del periodo bellico. Lo stesso nome che compare sulle porte antigas della residenza romana di Mussolini ed è tuttora impresso sul sistema di aerazione.

Non si sa se il dittatore vi abbia mai messo piede, ma è evidente che un blocco della segreta fosse destinato alle personalità, mentre l’altra parte poteva ospitare l’entourage. Nella zona nobile, infatti, si notano nel gabinetto tazza e bidet, mentre il resto degli ambienti erano serviti da due semplici turche a scarico diretto nel terreno. Il calcestruzzo armato raggiunge in alcuni punti spessori anche di tre metri, mentre le stanze sono collegate attraverso una rete di tubature, quelle dell’impianto elettrico e di aerazione. Un bunker in piena regola, interrato cinque metri, capace di resistere non solo alle bombe ma agli attacchi di armi chimiche. Contro i gas e per avere un adeguato livello di ossigenazione esisteva un sistema di filtraggio, che poteva essere attivato anche pedalando su una sorta di cyclette. Questi congegni venivano definiti elettroventilatori a pedali e a Forlì un modello più semplice si trova nel rifugio antibombe degli Uffici statali di via delle Torri. Azionando la bici si poteva accumulare energia in una batteria, contro eventuali blackout, e far circolare l’aria in sei grossi filtri a calce e carboni attivi, scegliendo tra semplice ventilazione, filtraggio o, addirittura, completa rigenerazione dell’atmosfera interna. Niente da invidiare ai più avanzati impianti in circolazione per il rifugio blindato a disposizione nella “Forlì del Duce”. A distanza di oltre settant’anni sul fortino della casa forlivese del capo del governo fascista resta ancora, però, un fitto mistero. Nessun cenno fino a oggi è mai spuntato nelle carte della Prefettura, né all’Archivio di Stato, sul progetto di costruzione, o sulla sua successiva manutenzione. Per caso fu riportato alla luce dopo il 2003 dal prefetto Montanaro, che vi installò una pompa per rimuovere l’accumulo di acqua. Non c’erano già più attrezzature per la sopravvivenza o mobilio, come letti, maschere antigas, filtri per l’aerazione, lampadine, scatolame e cibi essiccati. Un segreto ben custodito, sotto cumuli di terra, e nei faldoni top secret di una storia solo in parte riesumata.

 

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