Premiato il Sorrentino felliniano

Rimini

RIMINI. Fellini vive, il mondo del cinema ne è ancora permeato profondamente. E accanto a Paolo Sorrentino che l’altra sera sollevava sorridente e con orgoglio il suo Golden Globe (spesso figlioccio e padre putativo dell’Oscar) si poteva intravvedere lo spirito gongolante di Federico, che quei red carpet americani li aveva calpestati lasciandovi impronte nettissime e incancellabili.

“La grande bellezza”, il film con cui Sorrentino si è aggiudicato uno dei premi più prestigiosi, è infatti un evidente erede de “La dolce vita” felliniana, a esso si ispira per gratitudine ma anche con il fine del suo superamento, un’ulteriore conferma che il cinema italiano deve tantissimo al regista riminese, il cui genio illumina ancora oggi i nostri autori migliori. E la mecca del cinema mondiale si inchina ancora una volta alla potenza espressiva da lui mutuata, nella rielaborazione di un nuovo grande visionario come Paolo Sorrentino.

In questo bisogna dire che la riminese Fondazione Fellini, all’epoca diretta dal semiologo Paolo Fabbri, aveva visto giusto nell’assegnare nel 2010 il Premio Fellini proprio a Sorrentino, non certo un regista emergente, ma non ancora affermatosi a livello internazionale.

Così, dopo grandissimi come John Turturro nel 1994, Emir Kusturica (1995), Kathryn Bigelow (1996) , John Landis (1997), Roberto Benigni (1998), e poi Martin Scorsese nel 2005, Roman Polanski (2006), Ermanno Olmi (2007), Manuel De Oliveira con Tullio Pinelli (2008) e Sidney Lumet (2009), nel 2010 il premio andò proprio a Paolo Sorrentino.

I critici hanno detto che la Roma filmata ne “La grande bellezza” è agli antipodi di quella che si vede ne “La dolce vita” di Fellini: la capitale negli anni Sessanta viveva il boom economico italiano. Oggi invece lo splendore dei monumenti viene quasi soffocato e annebbiato dalla pochezza dei personaggi che si aggirano per la città. Insomma, come quello felliniano fu certamente specchio dei tempi, così lo è per i nostri tempi il lavoro di Sorrentino.

Contento e soddisfatto di questo riconoscimento, l’ex direttore della Fondazione Fellini, Paolo Fabbri: «Quando assegnammo il premio a Sorrentino ci venne criticato il fatto che, dopo grandi come Scorsese, eravamo andati a cercare un nome nuovo come Sorrentino che non aveva ancora i grandi meriti che ha oggi. Ma io ho sempre pensato che premiare i pluripremiati è come mettere acqua nel latte. Così ci orientammo verso una nuova figura di autore visionario. Una scommessa doppiamente vinta perché è diventato un grande e perché per un suo film capolavoro si è ispirato proprio a Fellini. Anche se Sorrentino supera il fellinismo scimmiottante di altri: la sua è una continuazione della Dolce vita, quasi un sequel, tra omaggio e satira. C’è una scena ne “La grande bellezza” in cui una bambina guarda il protagonista camminare da solo, che ricorda il finale della Dolce vita. Una citazione esplicita. Ha superato il fellinismo stereotipato, come del resto volevamo fare noi con la Fondazione, nel riconoscere cineasti che non erano ancora stati premiati, comunicare la nascita di nuovi autori degni del premio. E quelli spesi per Sorrentino, come vediamo oggi, non erano soldi buttati». (sa.ba.)

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