Alessandrino, viaggio con La Motta

Rimini

RIMINI. L'artista riminese Alessandro La Motta sta vivendo un periodo di intensa attività.

Nel dicembre 2012 ha raccolto nel libro “Viaggio Alessandrino” alcuni suoi lavori accompagnati dal testo di Gianfranco Lauretano; a fine 2013 è stato ospite all’Art Market di Budapest, e fino al 14 gennaio espone al Palazzo Albertini di Forlì nella mostra “Quando l’arte è F.A.T.A.” (fuoco, acqua, terra, aria) a cura di Serena Venturelli dell’associazione “Artisti Dovadolesi”.

La Motta, partendo dalla raccolta, come si è avvicinato a questo ciclo di volti di figure classiche (venendo da una fase di paesaggi e notturni)?

«Il progetto editoriale contiene lavori dell’ultimo decennio con i quali avevo partecipato a esposizioni personali e collettive che sono stati ripresi rimodulati e affiancati da una serie di nuove opere. Diciamo però che da sempre ho trattato quasi in contemporanea figure e paesaggio per lunghi cicli pittorici, ma guardando le cose da punti di vista diversi. In “Viaggio Alessandrino” ho cercato di affrontare tematiche identitarie, come il titolo stesso vuole lasciare intuire, dentro il mio viaggio come persona e come artista con lo sguardo focalizzato dentro la storia di una civiltà. Il viaggio per antonomasia del mondo classico è appunto quello che Alessandro il Macedone compie a metà tra conquista e scoperta. Qui c’è la culla del mondo antico e tutto il sapere che la civiltà greca ha portato nel mondo e che fu in seguito amplificato e rafforzato dall’impero romano. Ma è anche il mio viaggio dentro quella civiltà, un viaggio fisico e intellettuale che io percorro oggi. Per questo nei quadri quelle figure di eroi e miti, di dee e atleti, si animano di uno sguardo. Come sempre l’arte inciampa nella realtà e la materia con cui realizzo i lavori pare suggerirlo, ad esempio, nei volti su tavole di rame, la pittura è sull’orlo del deterioramento, il materiale sotto l’azione dell’acido ossida e il suo decadimento minaccia la sopravvivenza delle immagini».

Si ritrova qualcosa delle figure angeliche degli anni passati?

«Dal periodo degli angeli sono passati vent’anni (dirlo per uno relativamente giovane sembra strano ma guardandosi indietro senti comunque uno scarto). Più semplicemente, gli angeli di metà degli anni ottanta erano il frutto di un certo temperamento e di una meditazione sulla luce».

Come è stato accolto a Budapest?

«Sono stato là con una giovane galleria siciliana, animata da curatori preparati, per Art Market, una fiera che raccoglie a Est buona parte di fruitori e appassionati d’arte contemporanea provenienti dalla Russia e dal Medio Oriente. Ho partecipato con una piccola mostra personale, una serie di lavori recenti e per l’occasione è stato stampato un catalogo con un testo di Aurelia Nicolosi. C’erano molte proposte ma sono contento, perché c’è stato molto interesse per il mio lavoro e per l’attività della galleria».

La mostra “Quando l’arte è F.A.T.A.” rivolge lo sguardo agli elementi soffermandosi al momento sul fuoco. In che modo lo ha interpretato?

«La mostra tratta il tema del fuoco visto attraverso l’opera di cinque artisti romagnoli (oltre a me, Cesare Baracca, Pier Giovanni Bubani, Paola Campidelli, Silvano D’Ambrosio) chiamati a rappresentare il nostro territorio. Ho portato tre lavori, due di grandi dimensioni, in cui le figure rappresentate sono ottenute attraverso la sovrapposizione di strati di carta, spesso di cartine geografiche con tracce di combustione e carbone. L’azione di disvelamento e insieme di cancellazione del soggetto che nei supporti su rame è ottenuto dalle pennellate di acido, qui avviene attraverso una fiamma che disegna, non c’è la rappresentazione del fuoco, è il fuoco stesso che si fa immagine».

Progetti futuri?

«Sto preparando con la galleria Artekò una mostra con artisti italiani che approderà a Smirne in Turchia, in spazi istituzionali».

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