È calda la notte imolese di Ligabue

Rimini

IMOLA. Su e giù da un palco, meglio senza maxischermi né effetti speciali. Ammesso che il vero effetto speciale non sia proprio quell’interscambio palpabile di energia con un pubblico di cui la rockstar sul palco riesce a vedere quasi ogni singola faccia. A questo effetto speciale puntava il tour “Piccole città” di Ligabue approdato ieri sera a Imola e prossimo alla tappa del 6 aprile a Riccione.

La premessa positiva era stata in effetti la prevendita vecchio stile fatta di attese, notte all’addiaccio, zaini e panini, zero internet, che qualche giorno fa in tre ore aveva bruciato i 1600 posti imolesi disponibili. La fila fuori comincia presto nonostante i posti assicurati in largo anticipo, alle 20.15 il palazzetto è già pieno, anche il parterre (e fuori rimarrà gente accalcata alle transenne anche durante il concerto), la temperatura è già salita e si potrebbe anche partire. Lui non si fa aspettare, spacca il minuto.

Intima ed energetica atmosfera, con gli imolesi davvero padroni di casa come conferma il suo “personale sondaggio” che fa per alzata di mano per sapere da dove venga la gente davanti a lui. In fondo Ligabue è a due passi da casa, anche se da queste parti scorre già sangiovese e non lambrusco ad annaffiare lo stesso universale popcorn. Ecco quindi che ha senso compiuto una scaletta che parte rispolverando i suoi inni alla provincia allargata da sempre fra la via Emilia e il West di anteriore memoria. Da quella dimensione sentimentale tutta particolare da “Piccola città eterna” che giovani e meno giovani fra il pubblico specie di quelle “piccole città” per davvero conoscono a menadito, e snocciolano quel testo meno noto di tanti altri accogliendo così calorosamente il cantante che molto probabilmente a Imola riempirebbe di nuovo anche quel paddock muto di rock da tempo, che sta solo a cento metri alle sue spalle, fuori dallo stesso palazzetto che sembra ancora più piccolo così pieno di entusiasmo, di là dal Santerno.

Rotto il ghiaccio fra “compaesani” si passa al sodo. Il rocker emiliano canta l’indignazione dei pezzi dell’ultimo album, che pure onestamente tanto politico non è nemmeno, con cui prova a rompere “il muro del suono”. Ma li alterna con sapienza a vecchie note di riflessione su di sé, di amori giusti o sbagliati, di passato “Messo via”, di “balli sul mondo” che vanno di pari passo con i ricordi di chi si è stati e si sarà “per sempre”, i temi che in fondo sono parte di ogni epoca discografica di Ligabue, di cui questo tour riesce a dare davvero una carrellata globale.

Solo sette su ventiquattro sono i pezzi del nuovo “Mondovisione”, tanto remember, e appena il pubblico se ne accorge gongola e gongolerà fino alla fine, esplodendo poi per quella “Non è tempo per noi” fuori programma fra i bis.

Ieri sera ad ascoltare Ligabue e a guardarselo dritto in faccia c’erano per lo più giovanissmi, e soprattutto giovanissime. Tante “Lei” con fascia in testa a dire che lei sono proprio loro, e il feeling con un cantante che ha già varcato la soglia dei cinquanta e messo una fede al dito da poco è stato forte e chiarissimo. Perché “con la scusa del rock’n’roll”, fra tanta grinta e un po’ di malinconia, anche i capelli che imbiancano qua e là pure sulla testa della rockstar, alla fine fanno solo più figo.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui