L’arte scende in guerra alla ricerca dell’empatia

Rimini

RAVENNA. “?War is over”, la guerra è finita al Mar di Ravenna. Ma con un gigantesco punto interrogativo che chiama in campo tutte le guerre della contemporaneità, in ogni luogo e di ogni natura.

Si è inaugurata venerdì quella che dai curatori e dalle istituzioni viene considerata una delle più importanti e prestigiose mostre di arte contemporanea nella città. Un’ottantina le opere in mostra, che coinvolgono diverse generazioni di artisti, diversi paesi di provenienza, le più svariate forme espressive e che si diversificano per dimensioni, tecniche, temi e notorietà. Per citare solo alcuni dei nomi più celebri, si va dall’indimenticabile foto di Robert Capa che ritrae la morte di un miliziano durante la guerra di spagna a “Ettore e Andromaca” di Giorgio De Chirico”, da Gilbert&George a Kounellis, dal progetto di Christo alle “Parole in libertà” di Fillippo Tommaso Marinetti. Per passare a “Sacco nero e rosso” di Alberto Burri, a “Sedia elettrica” di Andy Warhol, a “Balkan erotic epic: benging the skull” di Marina Abramovich, a “Kite” di Robert Rauschenberg e persino all’“Alabardiere” di Pieter Paul Rubens.

«La mostra – evidenziano i curatori Angela Tecce e Maurizio Tarantino – non si pone in una prospettiva storica, nasce piuttosto da un’esigenza di approfondimento, di indagine su questo tema sfuggente».

«L’allestimento – prosegue Tecce – non vuole seguire pedissequamente i tre temi della mostra, ovvero arte e conflitti, il mito e la contemporaneità. Ci siamo divertiti a mescolare le carte, per invitare a una visione che non è estetizzante ma empatica, che ricerca la condivisione di concetti».

Le installazioni

I tre piani del Mar su cui si sviluppa la mostra hanno richiesto un collegamento, che non fosse solo tecnico ma narrativo: il compito è stato affidato a Studio Azzurro, che ha realizzato diverse installazioni. «Nella scala che collega i tre piani espositivi – scrive Tarantino nel catalogo – la rovente “Ballata della guerra” di Edoardo Sanguineti, recitata da Moni Ovadia, commenta il cadere di macerie da cui si innalzano (per rigenerarsi?) corpi umani. Nel passaggio obbligato del chiostro al primo piano, i calchi in gesso di alcune metope del Partenone con motivi equestri rivivono in una installazione ispirata all’esperienza dantesca della guerra […] nella battaglia di Campaldino».

Infine, l’installazione che ha per protagonista la celebre stele funeraria di Guidarello: nello sguardo di Studio Azzurro, Guidarello appare avvolto in una fitta nebbia, che si dirada all’avvicinarsi di un visitatore per mostrare ogni volta un volto nuovo, una condizione ogni volta diversa.

Il contrappunto

Il lavoro dei due curatori, come più volte sottolineato durante la presentazione, si è svolto secondo le logiche del contrappunto, ovvero di una giustapposizione di due temi indipendenti che si sviluppano parallelamente, a volte in consonanza altre in dissonanza. Da un lato la storica dell’arte dall’altra il letterato, da un lato l’esplicitazione visiva dell’idea di guerra, dall’altro le analisi storico filosofiche e letterarie su un tema che fa parte della vita dell’uomo da sempre.

«Sta crescendo una generazione – questa la riflessione del sindaco Michele De Pascale – che sarà la prima a non avere sentito i racconti di chi, nel nostro paese, ha vissuto la guerra in prima persona. Nessuna storia potrà sostituire il guardare negli occhi chi la guerra l’ha vissuta, chi ha provato nella propria vita quell’orrore e quella devastazione. È una riflessione che oggi siamo chiamati a fare. Forse solo l’arte può sostituire in maniera efficace il racconto diretto di chi la guerra l’ha vissuta».

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