«Viviamola tutta nel suo insieme questa nostra vita»

Rimini

RIMINI. Concerto d’autore al Beat Village di Rimini, sulla piazza della nuova Darsena; alle 21 sale sul palco il professor Roberto Vecchioni per raccontare, con parole e musica, La vita che si ama tour, già narrata a parole nel libro omonimo dedicato ai quattro figli.

Settantacinque anni appena compiuti (è nato il 25 giugno 1943), Vecchioni torna a proclamare stasera l’amore per la vita attraverso le sue canzoni più personali: “Stelle”, “Figlio, figlio, figlio”, “Sogna ragazzo sogna”, per fare toccare la positività che si sente dentro. Ricorda la madre in “Dimentica una cosa al giorno”, la figlia in “Un lungo addio”, ripercorre i classici come “Luci a San Siro” e “Chiamami ancora amore” con cui nel 2011 ha vinto Sanremo.

Rieccola Vecchioni, dall’antico Teatro Romano di Fiesole di due giorni fa alla modernità della Darsena riminese.

«Mi piace cambiare. Il mio pensiero è cantare ovunque, perché la gente è quello che conta, non il posto. E in cinquant’anni non sa quante volte sono venuto a Rimini!».

Dal libro ai concerti è un successo totale questo suo “La vita che si ama”, se lo aspettava?

«Un po’ me lo immaginavo; è una situazione che si è venuta a creare negli ultimi anni, questo amore per la vita, tema fondamentale dei miei ultimi due romanzi (“La vita che si ama” 2016, e “Il mercante di luce” 2014). È una esortazione a viverla tutta, nel suo insieme. Succede così: da ragazzi e da giovani si è quasi sempre pessimisti, tristi, pieni di pensieri; crescendo si capisce che la vita è una cosa bella e che in fin dei conti va vissuta, anche nei dolori. Così nel disco ho voluto inserire canzoni per i miei figli, perché sono un’eredità esatta delle speranze che ci sono nel mondo. Sono un ottimista, a 75 anni sono un ottimista, nonostante tutto».

Presto lancerà anche un nuovo disco.

«Sì, a ottobre 2018, e sarà un disco di 12 inediti. Parla di persone che hanno amato la vita, e che hanno insegnato agli altri ad amarla».

Canzoni, libri, insegnamento, concerti; la sua vita continua a scorrere come in passato; c’è un segreto per continuare a fare, da grandi, tutto ciò che si faceva da più giovani?

«Il segreto è la parola; ho cominciato ad amarla da bambino, la parola; ne amavo il suono, il senso, il modo di porsi in uno scritto, la bellezza di sentirla, di parlare con gli altri; e amavo la bellezza della poesia, soprattutto quella contemporanea del nostro Novecento, che mi piace da morire, quanto fa bene la parola alle persone. Più avanti, già grandicello, vi ho aggiunto la musica, per parlare con e senza musica; per comunicare con gli altri, esprimere il mio affetto per gli altri».

Quali poesie le sollecitano questi suoi sentimenti?

«C’è una bellissima poesia di Leopardi, “La ginestra”, l’ultima della sua vita, in cui il poeta si accorge che c’è qualcosa nel mondo che non è poi sempre catastrofico. Vedendo quel fiore che sta sul Vesuvio e che vive in un posto dove non è possibile stare, si rende conto che la ginestra vive del suo profumo».

Quale morale dovremmo cogliere, professore?

«Sono convinto che, così come il compito della ginestra è di emanare profumo, e non di chiedersi cosa siano stelle o destino, altrettanto noi uomini abbiamo lo stesso compito, offrire il nostro profumo, che significa vivere per dare emozioni agli altri».

È un incoraggiamento per coloro che non hanno troppa stima di sé.

«Basta poco, anche solo un momento per essere orgogliosi di sé. C’è chi si butta giù inutilmente, e magari è importantissimo per gli altri. Io cerco sempre di sollevare i miei studenti malinconici dicendo loro che l’importante è vivere, partecipare, essere con gli altri, esattamente il contrario di quello che è la politica oggi in Italia».

A proposito, torna a Rimini in un porto di mare, in giorni in cui i porti non sono più una salvezza per tanti…

«Come faccio a entrare in questa discussione che sono già inc…di mio!».

Avrebbe un suggerimento davanti alla complessa diaspora globale di questo tempo?

«Siamo in un periodo di minoranza; oggi c’è una sola cosa da fare: una resistenza culturale. Come c’è stata una Resistenza politica italiana durante la guerra, altrettanto oggi dobbiamo resistere culturalmente, batterci per le cose che valgono davvero. Perché oggi il mondo, e l’Italia, è tutto economia e finanza, non esiste più uno spazio per la cultura dell’arte, per l’educazione al bello dei ragazzi. Sono invece fondamentali, altrimenti non capisci nemmeno l’economia e finanza, non capisci più niente. E difatti vediamo cosa vanno a votare quelli che non capiscono niente di cultura».

Che dire invece di questo suo ritorno a Rimini? Trova anche qui una Romagna cambiata?

«La Romagna è la mia passione. Sì, è cambiata anche lei, come tutto, ma rimane culturalmente se stessa. È un po’ anarchica, e comunque fatta di persone che sanno viverci la vita, che sanno distinguere ciò che è serio da ciò che non lo è. Le vacanze con i miei figli da bambini le ho sempre fatte qua, a Cervia o a Rimini ma sempre in Romagna, e stavamo benissimo. Mia moglie ed io peraltro non siamo mondani, non siamo gente da Ibiza, siamo più da Riccione, città che mi piace molto di più di Ibiza».

Info: 328 530571

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