Libere di scegliere, libere di lottare. Le donne e la Resistenza non detta

Rimini

RIMINI. Staffette, vivandiere, infermiere, ma anche combattenti armate. Coraggiose. Indipendenti. Qual è stato veramente il ruolo delle donne nella Resistenza italiana? E perché di questo ruolo si è a lungo taciuto?

«Il movimento di Resistenza femminile è stato poco presente nel racconto post bellico» dice Rossella Schillaci, documentarista e ricercatrice (Torino, 1973), autrice di Libere, film sulle donne durante la Resistenza e nel primo dopoguerra uscito giusto un anno fa.

Il film viene presentato oggi alle 17.30 alla Cineteca di Rimini (con ingresso libero) nell’ambito del ciclo di incontri Parla con lei. Sapienza contro violenza promosso dal Coordinamento Donne Rimini.

Perché le donne parteciparono alla Resistenza?

«Le donne – risponde Schillaci – parteciparono non solo per affiancare i compagni e aiutarli nella lotta, ma anche per combattere per i propri diritti. Portavano avanti le loro rivendicazioni al lavoro, nelle fabbriche... Venivano da vent’anni di dittatura e si resero conto di tutte le discriminazioni che subivano, perciò cominciarono a chiedere parità, ad esempio nei salari (cosa che per altro non è stata ancora raggiunta). Questo periodo straordinario è stato importante per capire che le donne avevano diritto alle stesse cose di cui godevano gli uomini. Fu una vera emancipazione per le italiane».

Eppure si parla spesso solo di “supporto” agli uomini.

«C’è ancora la retorica della brava madre di famiglia che combatteva per aiutare marito e figli, ma non fu così per tutte. C’erano anche una serie di ragazzine, molto giovani, che entrarono nella Resistenza non solo per aiutare i padri, ma per loro scelta, perché credevano in una serie di valori e volevano cambiare la società. Tutto questo non è ancora emerso a sufficienza».

Le donne ottennero il diritto di voto proprio dopo la Liberazione, nel 1946, prima alle elezioni amministrative e poi al referendum per la Repubblica.

«Fu grazie a quella partecipazione che avvenne la scoperta dei diritti politici. Le donne partecipavano alla vita politica in maniera appassionata, dal basso, si ritrovavano nelle fabbriche, nei condomini, nei quartieri, facevano attività in maniera capillare, sia prima che dopo la guerra. Era una politica vicina alle esigenze delle persone, e questo è un grande insegnamento: ci dice come poter di nuovo avvicinare le persone alla politica».

«Con Libere – prosegue la regista – ho voluto raccontare non solo le loro imprese eroiche – e ce n’erano – ma sottolineare quali principi e valori spinsero le donne ad attivarsi, e che mi sembra non siano stati abbastanza raccontati».

È dalla Resistenza e dai Gruppi di difesa della donna che nasce il movimento di emancipazione delle donne in Italia?

«Questo è quello che mi hanno raccontato alcune delle protagoniste, come Bianca Guidetti Serra o Giuliana Gadola Beltrami, anche se sui libri questo tema non si trova».

Il punto di vista femminile è stato poco studiato. Lei si è documentata a lungo per realizzare il film.

«Questo lavoro è durato diversi anni, e devo ringraziare i ricercatori dell’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza. Tra i testi che mi hanno guidato posso citare “La Resistenza taciuta” di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, sul ruolo nascosto delle donne, e poi molti articoli dell’Udi. Sono rimasta davvero colpita dalla forza di queste donne che raccontano con ironia e coraggio tutte le lotte fatte».

Dopo un anno il suo documentario sta ancora girando l’Italia.

«L’accoglienza è stata molto buona, più di 50 sale l’hanno proposto, ci sono state molte proiezioni per le scuole, e anche quest’anno si continua. A ogni dibattito mi sembra che emergano aspetti per certi versi nuovi. Quando ho iniziato la ricerca pensavo che dopo 70 anni fosse già stato detto tanto, e invece mi sono presto resa conto che la storia viene rivista e raccontata in maniera diversa a seconda del periodo, non è un ciclo chiuso ma continua a esser viva nel presente».

Perché secondo lei “Libere” è un film attuale?

«Perché fa riflettere sul presente. Tante richieste fatte dalle donne 70 anni fa restano ancora disattese. Raccontare la storia e le storie individuali ci aiuta a comprendere l’attualità».

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