Riminesi e "ospiti" Mostra nella mostra

Rimini

RIMINI. L’esposizione Uno sguardo sulla pittura a Rimini nella prima metà del Novecento fra tradizione e innovazione curata da Marco Gennari con la collaborazione di Annamaria Bernucci in corso fino al 7 gennaio 2014 nella Manica Lunga del Museo della Città di Rimini, presenta anche una serie di opere non di “area riminese” provenienti principalmente dai depositi del museo.

 

A parte la Piazza Cavour di Filippo de Pisis e la Marina di Carlo Carrà, le altre sono acquisizioni dell’amministrazione comunale dalla Biennale del Mare organizzata a Rimini nel 1953. Non c’è niente di più romagnolo delle figure femminili sulla spiaggia che risaltano nella tela Tre generazioni al mare dell’ultracentenario pittore svizzero Hans Erni. L’atmosfera è sospesa nella calura estiva grazie ad un tonalismo lieve e attenuato ottenuto con una tecnica pittorica ricercata ed efficace. L’opera vince meritatamente il primo premio ex-equo con i Pescatori di Perupok di un grande Corrado Cagli. Lo scenario orientale dei pescatori malesi e delle loro donne è espresso con una vivacità e una gamma di colori, in particolare i rossi e i blu, che giustamente come scrive Gennari, richiamano la pittura italiana del quattrocento. Le grandi tele di Ugo Attardi, Uomo che lava il figlio in mare e Alberto Sughi Pescatori dell’Adriatico, classificate rispettivamente al terzo e quarto posto, sono un ottimo esempio del neorealismo italiano. Dopo la guerra gli artisti, molti dei quali militanti nella sinistra , riconoscono negli operai, nei contadini e nei lavoratori in generale, la classe sociale emergente che avrà sempre di più un ruolo fondamentale nella ricostruzione dell’Italia. Contemporaneamente c’è un riconoscimento della funzione politica dell’artista anche da parte dei lavoratori che proponendo se stessi e i luoghi dove “faticano” come soggetti per la raffigurazione artistica ne fanno uno strumento di lotta. Un esempio emblematico è l’esposizione del 1948 di Gabriele Mucchi all’interno della Magneti Marelli di Sesto San Giovanni allestita dagli stessi operai della fabbrica. Così nasce il neorealismo che attraverso la narrazione didascalica, stilisticamente leggibile da tutti e non solo dagli intellettuali o dagli addetti ai lavori, rivaluta gli aspetti più umili e duri del lavoro. Si tratta di un concetto culturale popolare acquisito dalla maggior parte dei pittori di quel periodo, che culmina nella loro massiccia partecipazione alla Biennale di Venezia del 1952. A Rimini, in occasione della Biennale del Mare dell’anno successivo, partecipano molti autorevoli rappresentanti di questa corrente tipicamente italiana, come Renato Guttuso, Armando Pizzinato, Gabriele Mucchi, Giuseppe Zigaina, Aldo Borgonzoni, Giuseppe Santomaso, Ernesto Treccani, Nello Leonardi, Giovanni Cappelli oltre a Sughi e Attardi, tutti attirati dal sottotitolo della manifestazione: Vita della gente di mare. Un caso a parte è Giulio Turcato, quarto classificato con Sughi e Menghi, che anticipa i tempi. Lo straordinario Cantiere in mostra fa il paio con Gli scaricartori del 1949 della Collezione Verzocchi di Forlì. In entrambe le tele il pittore mantovano cerca di risolvere il conflitto con Palmiro Togliatti che sotto lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia da “Rinascita” impone agli intellettuali di esprimere sempre e con grande chiarezza il messaggio politico come unico fine della loro arte. Attraverso un linguaggio piano, lineare e definito esclusivamente dal colore, Turcato realizza una sintesi formale che lo avvicina già all’astrattismo pur mantenendo un contenuto ben in linea con le direttive di partito. Diversamente da lui, molti neorealisti “allineati” che negli anni ’50 dipingono in maniera molto simile fra loro, arriveranno solo più tardi a quell’autonomia stilistica personale che caratterizza le loro opere successive. (s.s.)

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