L'empatia, la missione: Vincenzo Giorgetti, il prof dalla parte degli alunni

Rimini

RIMINI. Un uomo profondamente sensibile, dotato di grande empatia verso il prossimo e di una umanità forte e delicata allo stesso tempo. È questa l’impressione che immediatamente si avverte leggendo Vi racconto un po’ della mia vita, il libro postumo incentrato sul materiale lasciato da Vincenzo Giorgetti, professore di lettere riminese, laureato in Pedagogia a Bologna.

Il libro (Garattoni Service, dicembre 2017) raccoglie riflessioni, poesie, lettere degli alunni e altro materiale che il professore riminese scrisse e raccolse durante la sua vita di insegnante per poi – ormai gravemente malato – indicarne l’esistenza a un gruppo di cari amici, a lui solidali fino all’ultimo e decisi a rendergli omaggio tramite una raccolta postuma che ne mantenesse eternamente in vita lo spirito.

“Gli amici di Vincenzo”, come ci tengono ad essere definiti, hanno così deciso di raccogliere gli scritti, raggruppandoli in due macro aree tematiche: i testi incentrati sulla scuola – l’amore per l’insegnamento, gli obiettivi dell’istruzione, il rapporto con gli alunni – e quelli dedicati invece ai “sentimenti”, che Giorgetti scrisse con l’idea di raccontare il proprio affetto per la vita, la famiglia, gli amici, la società e il «rapporto con le persone a cui ha offerto un amore quasi mai esplicito, spesso racchiuso in delicate e splendide poesie».

Giorgetti aveva dedicato tutta la vita all’insegnamento, che per lui era una vera e propria missione – «uno degli impegni più importanti» – e che costituisce il fulcro del libro: sono tantissimi infatti gli scritti riservati alla vita scolastica, alla pedagogia, al rapporto alunno-insegnante, all’apprendimento e agli obiettivi che la scuola dovrebbe avere: secondo Giorgetti l’istruzione «deve affidare ai ragazzi la cultura della solidarietà, della comprensione, del rispetto reciproco. Ogni alunno è un mondo a sé a cui va indirizzato un proprio particolare messaggio, non una media. Il centro dell’educazione è l’alunno, non il programma».

Nella visione del professore quindi, la didattica diviene non solo strumento per l’inserimento professionale ma anche (e soprattutto) un tramite per l’apprendimento autonomo e la crescita individuale, veri obiettivi di ogni educazione, che deve essere finalizzata a far emergere «la centralità, l’unicità dell’essere, il rispetto alle abilità indispensabili in ogni scelta».

Giorgetti è stato un insegnante profondamente amato dai propri allievi, fermamente convinto che «l’autorevolezza di un insegnante deve derivare dalla collaborazione interpersonale, dal consenso, dalla spontanea adesione a un ordine necessario allo svolgimento del lavoro».

Per lui la «scuola non educa, né questo è il suo scopo, ma prende in consegna alcuni eletti e inculca loro alcune nozioni, modi e maniere idonei al loro scopo sociali, mentre gli altri devono restare al loro posto di sudditi. Insomma è ancora il classico insegnare per la classe dominante». Per spezzare questa “logica del più potente”, Giorgetti cercava di permettere a ogni allievo di esprimere sé stesso, le proprie passioni, diventando così, come sostengono gli amici, una «guida per affrontare il futuro, un insegnante amico, uno dalla parte degli alunni, cui ci si poteva rivolgere sia innanzi alle difficoltà dell’apprendimento, sia innanzi a quelle incontrate durante l’adolescenza, nei rapporti umani e nelle crisi esistenziali che sovente caratterizzano il periodo scolastico e la giovinezza».

Il professore riminese aveva poi la capacità, nella scuola e nella vita di tutti giorni, di trasmettere i suoi insegnamenti attraverso il comportamento: con il suo esempio era il primo a dimostrare il valore della solidarietà e della condivisione, l’importanza data al singolo individuo, a scuola – dove «ogni alunno è un mondo a sé a cui va indirizzato un proprio particolare messaggio, non una media perché il centro dell’educazione è l’alunno, non il programma», e nella vita di tutti i giorni.

La grande attenzione riservata a ogni rapporto umano emerge chiaramente nelle parti del testo in cui sono raccolte le poesie di Giorgetti, pagine ricche di sentimenti, di delicatezza, di pulsioni, di sogni, timori, pagine in cui si avverte la grande capacità di provare emozioni e sentimenti per ciò che lo circondava.

L’empatia caratterizzava profondamente la vita del professore, un uomo dotato di grande sensibilità, che diventava delicata fragilità innanzi al rapporto con il sesso femminile al quale era legato da un trasporto bivalente: se da un lato le aveva profondamente amate, dall’altro le donne erano per lui fonte di imbarazzo, timore e rassegnazione («le donne mi spaventano. Non riesco a pensare ad un rapporto duraturo, né tantomeno ad innamorarmi per gioco… Ho paura, sono assolutamente inadatto alla vita sentimentale. L’handicap forse un alibi?»).

Vi racconto un po’ della mia vita diventa così il racconto di una esistenza, di un’anima, di un uomo profondamente legato ai sentimenti, ai giovani, ai rapporti umani: «La scoperta di un mondo che in parte il professore aveva tenuto nascosto», il ricordo di una voce fatto attraverso un viaggio compiuto tra pensieri, racconti, versi, capaci di trasportare dentro il cuore di Giorgetti, ma anche dentro il cuore di ognuno di noi.

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