"Va pensiero", un germoglio di speranza contro le mafie
Quando ha saputo di aver vinto il premio Anct?
«Me l'hanno detto una settimana fa, a Modena, mentre provavamo “Va pensiero”. È stato davvero inaspettato».
Che cosa significa questo premio per lei?
«Ogni volta che si riceve un premio è sempre una bellezza, e questo non fa eccezione. Quando abbiamo saputo delle tre nomination agli Ubu per “Inferno”, al miglior spettacolo, alla miglior scenografia e al miglior progetto artistico, ci siamo sentiti gratificati, perché in un qualche modo si convalida un'oggettività del valore estetico dei nostri spettacoli. Ma c'è da dire che con “Inferno” ci siamo già sentiti premiati».
Cosa intende?
«Per “Inferno” la città ci ha risposto in modo talmente travolgente, la partecipazione è stata così diffusa che per noi questo è stato già un dono. Perciò mi sento di condividere questo premio, che va alla sola Ermanna, con tutti i cittadini che ogni sera, assieme a noi, hanno speso le loro energie al Rasi».
Questo riconoscimento cade a ridosso della prima ravennate del vostro nuovo spettacolo, “Va pensiero”. Titolo verdiano.
«Il tema originario di questo spettacolo doveva essere Giuseppe Verdi: volevamo raccontare la storia di questo giovane uomo, che a 30 anni perde mogli e figli e ha un grande insuccesso. Ma proprio da questa tenebra nasce il “Va pensiero”, nasce una figura eccezionale per il nostro Paese, un germoglio di speranza. Volevamo la possibilità di cantare questa speranza con una moltitudine, in coro».
E poi cosa è successo?
«Poi Massimo Manzoli, del Gruppo dello Zuccherificio, ci ha parlato della storia di Brescello, primo comune emiliano sciolto per mafia, e di Donato Ungaro, vigile urbano che si ostina a multare la macchina di un 'ndranghetista, fino a essere licenziato dal sindaco della sua città».
Donato Ungaro come esempio da perseguire?
«Direi di sì. Come Verdi, anche lui tiene accesa una speranza. Per questo abbiamo cercato di alchimizzare il canto di Verdi, che è un canto di bellezza, con questa vicenda di corruzione delle istituzioni e corruzione interna. Riflettere sulla sua origine. Da dove viene? Perché anche noi, in questa Emilia-Romagna ci pieghiamo a essa? Da qui la figura della Sindaca».
Interpretata da lei. Definirebbe cattivo il suo personaggio?
«No. È sempre sul punto di redimersi. Il suo soprannome è Zarina. Non è Zar: siamo già uno scalino sotto. Inoltre, è stata imposta dal padre e vuole emularlo perché è lui la sua legge. È una figura debole, talmente debole che ha bisogno di una corazza di protezione, di uno sprezzo tremendo per la vita. Una figura irosa, che vomita parole e disprezzo. Per questo abbiamo voluto cominciare lo spettacolo con un vomito».
E gli ‘ndranghetisti come li avete caratterizzati?
«Anche loro, tutti in sfumature. In questo spettacolo ci sono varie volgarità, diverse mostruosità e cattiverie. Ci sono i due napoletani che si trasferiscono a Brescello per non pagare il pizzo, e si ritrovano la mafia anche in Emilia. Ma ci sono anche gli 'ndranghetisti che si comprano lo Stato senza versare una goccia di sangue. Per questi ruoli abbiamo voluto attori del sud, per una maggiore verità sulla scena».
Nella presentazione dello spettacolo fate spesso il nome di Dickens. Per quale motivo?
«Marco ha cercato nella sua drammaturgia la qualità e la struttura del romanzo ottocentesco. Dickens parla di una Londra buia, cupa, fumosa, corrotta: ma anche nei suoi libri si possono trovare germogli di speranza. L'Ottocento, da questo punto di vista, è un secolo generante».
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