«Il mio film "ad honorem" per tutti i ricercatori»

Rimini

RICCIONE. “Smetto quando voglio. Ad honorem” è il terzo e ultimo capitolo della trilogia di film diretti da Sydney Sibilia. Il regista, Greta Scarano e Valerio Aprea, attori protagonisti della pellicola, saranno al Cinepalace di Riccione per partecipare alla proiezione di questa sera alle 20.30. I protagonisti sono una banda di ricercatori e cervelloni diventati, per necessità, spacciatori di smart drugs, con a capo Pietro Zinni, interpretato da Edoardo Leo. Ritroviamo nel film quella temperatura emotiva presente anche nel primo e secondo capitolo, ovvero quella rabbia di chi, anche se ha raggiunto l’eccellenza, si ritrova a chiedere raccomandazioni in un Paese in cui il merito non viene premiato.

“Ad honorem” vede la banda di cervelloni incompresi riunirsi per l'ultima sconsiderata impresa. Accanto all'ex galeotto ritroviamo il chimico Alberto, i due latinisti Mattia e Giorgio, l'impacciato antropologo Andrea, il timido archeologo Arturo e l'avventato economista Bartolomeo. Impegnata a chiudere i conti col passato e a sventare un atto terroristico a opera del misterioso Walter Mercurio, la gang di ricercatori è costretta a chiedere aiuto al nemico di sempre: il boss malavitoso con una laurea in ingegneria navale, Er Murena.

Da ieri è in tutte le sale “Smetto quando voglio. Ad honorem”. Perché ha deciso di fare questo terzo film?

«Era un'idea che era stata concepita proprio così. Questo è il terzo capitolo della saga, nonché quello conclusivo. Per gli spettatori è un viaggio durato quattro anni, per noi sei. Il bello delle saghe è che racchiudono un pezzo di vita, ecco che ahimè avverto un forte senso di nostalgia».

Cosa accade in questo terzo capitolo?

«Emerge il passato dei personaggi della storia che vi ho raccontato con il ritorno di Er Murena, interpretato da Neri Marcorè. Quest'ultima pellicola sarà una sorta di chiosa finale della satira sociale che è stata fatta nella saga. Credo che questo, rispetto agli altri due, sia un film più tematico e anche più profondo».

Lei cosa pensa della cosiddetta fuga di cervelli dal nostro Paese?

«È una triste realtà. Molti dei nostri ricercatori se ne vanno rendendo il nostro Paese meno intelligente e sempre più povero. Ritengo tuttavia che per l'Italia ci sia ancora speranza, perché c'è ancora qualcuno che resiste e non si arrende».

Pensa che la visione del film possa incoraggiare i giovani a restare in Italia?

«“Smetto quando voglio” non serve a smuovere le coscienze, vuole far riflettere sulla condizione che stiamo vivendo sì, ma ridendo. Non è un invito ad andarsene, bensì è una provocazione rivolta alle istituzioni affinché finalmente possano cambiare quello che sta accadendo».

Nel 2014 lei debutta come regista proprio nel primo film della saga. Che cosa vuol dire fare il regista oggi?

«Credo che per fare nel migliore dei modi questo mestiere sia fondamentale trovare storie che possano interessare il pubblico, cercando di essere compatibili con l'industria del cinema. Mi diverto moltissimo a raccontare storie e questo non fa altro che contribuire alla buona riuscita del film».

Prima di entrare nel mondo del cinema ha fatto anche l’animatore turistico. C’è qualcosa che ha in comune quest’attività con l’essere un filmaker?

«Moltissimo! Entrambi hanno lo stesso linguaggio e cercano di intrattenere facendo sorridere. Il cinema probabilmente ha un intento più profondo. Abitando vicino alla Sapienza, ricordo che l'idea di fare questa saga è nata osservando tutti i ricercatori che manifestavano contro i tagli alla ricerca».

Dirige un cast con Edoardo Leo, Stefano Fresi, Giampaolo Morelli, Neri Marcoré... Perché proprio loro?

«Perché sono i più bravi e i più adatti per quel ruolo».

Arriverà il momento in cui un giovane potrà dire veramente «smetto quando voglio»?

«Certo che sì. Sono ottimista! Ci troviamo in un momento storico in cui le cose si stanno evolvendo, ma la situazione dei ricercatori è rimasta immutata. In questo senso la trilogia è attuale, ma è anche eterna, come succede a tutti quei film che raccontano problemi che non si riescono a risolvere».

Che cosa le piacerebbe arrivasse del film?

«Vorrei che si capisse che la speranza non è perduta, non dobbiamo mai smettere di credere in un cambiamento».

I suoi prossimi progetti?

«Sto pensando a un nuovo film in cui mi piacerebbe parlare della forza di uno solo e non di un gruppo».

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