Celestini e "Il Pueblo" delle periferie e dei cartoni
RIMINI. C’è l’umanità intera. Quella che vive tra cartoni e periferie. Quella che aspetta il cibo in scadenza, che si gioca i pochi risparmi alle slot machine. Quella che vive, invisibile, alla cassa di un supermercato. Ci sono gli ultimi, dai volti comuni, nel nuovo spettacolo di Ascanio Celestini che porta in scena la seconda parte della trilogia iniziata con “Laika”. Questa sera al teatro Novelli, l’autore romano, tra i più significativi del teatro di narrazione, torna a raccontare e a far vivere personaggi che sopravvivono ai margini dei quartieri degradati delle città, protagonisti di molte delle sue pièce. Pueblo, infatti, è un puzzle di storie che si intrecciano e si incontrano come tante gocce di pioggia che cadono, liberatrici, sul terreno. Nel semibuio del palcoscenico, accompagnate dalle note del fisarmonicista Gianluca Casadei, prendono forma esistenze e anime: quella della giovane cassiera Violetta, con sogni congelati dai freezer del supermercato, persa nella routine di giornate che diventano un lungo e anonimo elenco della spesa. Ma accanto a lei c’è anche Domenica, una barbona che non chiede l’elemosina, ma si accontenta degli scarti dei banconi, fragile e forte, dal passato drammatico, fidanzata con Said, un facchino magrebino che la ama, ma è irrimediabilmente vittima della sua malattia per il gioco d’azzardo. Poi c’è Giobbe, ormai anziano, senza più lacrime, e un piccolo zingaro di otto anni che cresce tra la violenza. E poi ancora, altri occhi, altre sofferenze che corrono inosservate tra passanti frettolosi.
«Personaggi che non hanno alcun potere e spesso stentano a sopravvivere, ma si aspettano continuamente che il mondo gli mostrerà qualcosa di prodigioso – dice Celestini –. Ci credono talmente tanto che alla fine il prodigio accade. Ignorano il potere di Dio o degli eserciti. La loro forza e la loro debolezza sono la stessa cosa, per questo, pur essendo ai margini della società vorrei che riuscissero a rappresentarla per intero. Questo spero di provocare: che lo spettatore professionista borghese, il giovane laureato o lo studente che ancora vive con i genitori si identifichi in un barbone o in una prostituta rumena, non perché viva la stessa condizione sociale, ma la stessa condizione umana». Catarsi, immedesimazione, vicinanza. Una finestra da attraversare. Bar, marciapiedi, fabbriche, periferie da guardare con occhi diversi, là dove respira un’umanità più forte e più vera. Dopo questa seconda tappa il progetto si concluderà con lo spettacolo “I Draghi”, ulteriore tassello nel percorso artistico di Celestini, attore, regista, drammaturgo che ha rivitalizzato il teatro di narrazione con il suo talento fin dagli esordi. Da “Cicoria. In fondo al mare, Pasolini” del 1998, dalla prima trilogia “Milleuno”, che lo ha fatto conoscere e apprezzare da pubblico e critica. Fino al 2002 quando gli è stato dato il Premio Ubu, uno dei primi riconoscimenti che costellano la sua carriera. Indimenticabili “Radio clandestina”, Fabbrica”, “La pecora nera”, solo per citarne alcuni, spettacoli in cui Celestini si è immerso nelle situazioni più difficili, del presente, del passato, per parlare sempre del futuro.
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