Ma cosa urla la suorina allo zio Teo in "Amarcord"?

Rimini

SAN CLEMENTE. Le lingue di Federico è lo spettacolo scelto dalla compagnia Città Teatro per ricordare il compleanno di Fellini nella serata di domani, giorno stesso della ricorrenza. La messinscena verrà allestita all’interno della stagione del teatro Villa di San Clemente, dove la compagnia è di casa e omaggerà il regista riminese con un viaggio nel suo mondo attraverso le “lingue” che popolano i suoi film. Lo spazio verrà così avvolto dalle voci e dai suoni dei personaggi felliniani, rappresentati da Francesca Airaudo, Mirco Gennari, Giorgia Penzo insieme a Francesco Tonti. A introdurre la serata sarà Davide Pioggia, esperto di lingue e dialetti. La drammaturgia delle Lingue di Federico è stata scritta da Loris Pellegrini e l’idea «è nata da una conferenza su Fellini e Rimini da me tenuta a Barcellona qualche anno fa – racconta –. Mentre ero lì che tentavo di spiegare alcuni passaggi, alcune battute in dialetto romagnolo di , mi sono accorto che non solo non capivano niente gli spagnoli, e va bene, ma nemmeno gli italiani presenti. Del resto, chi (tranne i romagnoli, e non tutti), ha mai veramente capito cosa urla la suorina allo zio Teo per farlo scendere dall’albero in Amarcord o cosa sussurrano le donne che pedalano all’inizio di Roma? Così mi sono incuriosito, ho investigato e ho scoperto che Fellini usa spesso il dialetto, e non solo quello romagnolo, in molti dei suoi film, e quasi sempre con intenti più emotivi che razionali, più intesi a evocare che spiegare. Il veneziano in Casanova, ad esempio, il “romanesco” in Roma, e perfino linguaggi sconosciuti o dimenticati, come nel Satyricon».
In che modo queste lingue prendono vita nello spettacolo?
«Il titolo racchiude volutamente un doppio senso che sono sicuro anche a Fellini sarebbe piaciuto, essendosi sempre definito un burlone e un bugiardo. Questo mi sembra il modo più simpatico per rendergli omaggio. Ho scelto dai suoi film alcuni frammenti o personaggi che parlano in un italiano dialettale o alternativo e li ho fatti intervistare in scena da un giornalista. Il cronista (che nel primo allestimento ho interpretato io stesso) intervista una sorta di ombra del regista riminese e da qui parte il tenue filo rosso che fa poi dipanare il gomitolo richiamando i vari personaggi. Sono tante le scene delle pellicole felliniane diventate celebri, ma ce ne sono altrettante meno conosciute ai più che sono meravigliose».
Che rapporto aveva dunque il regista con le lingue?
«Le usava tanto e spesso in maniera più evocativa, senza che avessero lo scopo di spiegare qualcosa nello specifico. Mi è capitato all’estero di tradurre il dialetto romagnolo di alcune battute e dopo gli spettatori si sono divertiti ancora di più. Questo spettacolo era stato pensato in un contesto ben preciso invece ogni tanto viene ripreso perché è apprezzato da pubblici diversi e rappresenta una maniera alternativa di recuperare le atmosfere felliniane».

Buio in sala alle 21 e dopo lo spettacolo “Chiacchiere al Villa”.
Info: 391 3360676

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