Bellocchio e Gramellini nel segno di "Fai bei sogni"

Rimini

RICCIONE. Marco Bellocchio ospite ieri al Cinepalace di Riccione per incontrare il pubblico alla proiezione del suo ultimo lavoro Fai bei sogni, ispirato al romanzo autobiografico di Massimo Gramellini e interpretato da Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo. Il regista piacentino con oltre mezzo secolo di carriera e 21 lungometraggi all’attivo (è stato anche direttore di Adriaticocinema, nato nel 1998 dall’unione dei festival di Rimini, Bellaria e Cattolica) non ha certo deluso il pubblico, accorso in gran numero alla proiezione anche per conoscere la genesi della pellicola.

«Sono onorato di vedere una sala così piena di mercoledì in una città come Riccione» ha detto il regista.

Il film, acclamato da critica e pubblico al Festival di Cannes, è ambiento a Torino tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta e mescola tutte le sfumature e le età della vita, in un viaggio nel tempo e nella storia, anche televisiva. Il suo rimane sempre un linguaggio forte ma libero e personale, nel raccontare una storia difficile, alla ricerca della verità comprese le paure di scoprila. Pur rimanendo fedele ai fatti, Bellocchio scolpisce immagini, suoni e parole del suo cinema, riuscendo a rendere proprio un romanzo autobiografico senza sminuire le emozioni dello scrittore.

«Quando mi è stato proposto di fare questo film – ha spiegato – non avevo letto il libro. Dopodiché ho letto il romanzo e mi è piaciuto molto, sono stato colpito dalla storia, da questo rapporto intenso che il protagonista – Massimo Gramellini, che nel film mantiene il nome di Massimo, ndr – ha con la madre. In una famiglia borghese, nella Torino del tempo, la felicità si interrompe drammaticamente e diventa tragedia».

Nella pellicola emerge anche un aspetto cinico del mondo giornalistico, come l’immagine del bambino di Sarajevo che gioca ai videogiochi a fianco al corpo senza vita della madre: come mai questo ritratto impietoso?

«Non è una situazione generalizzata, però è vero che il giornalista è portato a raccontare con indifferenza la cronaca».

Nel suo film mette insieme la storia di un Paese anche molto influenzato dalla tv, da Canzonissima alla tragedia di Superga, da Belfagor alla Carrà.

«La televisione, così come è frammentata oggi, è superficiale, mentre all’epoca era protagonista della vita quotidiana, domestica, delle persone. Anche Canzonissima, che può sembrare ai nostri occhi una trasmissione leggera, era un momento importante perché la tv era un aspetto non secondario della vita di allora, un momento per ritrovarsi».

E in merito ai suoi trascorsi in riviera, Bellocchio ha poi ricordato: «Mi sono sempre fermato volentieri in questi luoghi, poi ho grande ammirazione e rispetto per Fellini. La riviera rimane una bella cartolina».

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