«La poesia dialettale non è archeologia»

Rimini

SANTARCANGELO. Che cos’è la cultura popolare? Chi la produce? Chi ne usufruisce? E il suo valore è pari a quello della cultura cosiddetta alta? Sono alcuni degli interrogativi che possono sorgere quando ci si approccia a una artista – popolana, prima ancora che popolare – come Giuliana Rocchi (Santarcangelo 1922-1996), «la poetessa delle contrade», a cui è dedicato in questi giorni il Cantiere poetico 2016.

Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 1932) è tra gli ospiti più attesi. Linguista e filosofo del linguaggio, già ministro della Pubblica istruzione, De Mauro da giugno è cittadino onorario di Santarcangelo dove, nel 1973, fu tra gli artefici del “Seminario popolare su Tonino Guerra e la poesia dialettale romagnola”. Stasera parteciperà al dibattito in programma al Supercinema.

De Mauro, che cos’è la cultura popolare oggi?

«Sono due parole con tanti significati, è difficile orientarsi. Per quanto riguarda la cultura, bisogna tenere conto del fatto che essa è un organismo complesso, che va da cose molto umili, che impariamo per sopravvivere, a quello che apprendiamo a scuola o nelle professioni, fino alle grandi elaborazioni dell’arte, della filosofia, della scienza. Ma questi strati sono sempre in rapporto tra di loro, i più alti non sono pensabili senza i più umili, e i più umili usufruiscono e si nutrono dei più alti. C’è una circolazione continua, e questo ci serve per capire che, quando parliamo di cultura popolare, ci riferiamo a fenomeni che hanno una loro radice immediata nella popolazione, anche nella sua parte non colta, che si alimentano di suggerimenti, di stimoli che vengono dalla cultura alta. E la cultura che si ritiene alta sa che ha grandi debiti – nella musica, nella cultura, nella letteratura – verso le forme più popolari».

In che modo?

«Prendiamo ad esempio Mozart: la sua musica è piena di temi e canzoni popolari del suo tempo, e naturalmente Mozart è a sua volta un ispiratore. Ci sono tante canzoni moderne in cui si scopre che il tema saliente è rubato a Mozart. C’è una continuità che bisogna capire e proteggere perché il rischio è quello che si vogliano ignorare le forme più apparentemente umili di cultura, e questo è un errore. In particolare in un Paese come il nostro la cosa ha riguardato i dialetti, che sono stati e sono ancora così presenti nella nostra vita e nella nostra tradizione di canzoni e di poesia. C’è stato un lungo disprezzo, una specie di congiura del silenzio verso la cultura dialettale, di Santarcangelo e di tanti altri paesi italiani, e per fortuna questo silenzio è stato rotto. I riconoscimenti – anche quelli della cultura accademica – sono arrivati, e bisogna dire che la Romagna e Santarcangelo in particolare hanno avuto un ruolo di piloti verso questo risorgimento, con Tonino Guerra e tutti gli altri, come quella straordinaria poetessa popolare che è stata Giuliana Rocchi».

C’è qualcuno a cui si può ascrivere questo merito, di aver saputo riconoscere la grandezza nelle piccole cose, di avere portato l’accademia nelle strade o viceversa?

«I grandissimi in realtà sono sempre stati riconosciuti, non hanno mai sofferto. Benedetto Croce e soprattutto Gianfranco Contini sono studiosi che hanno ben tenuto presente la componente dialettale nella tradizione letteraria italiana. Loro sono un punto di riferimento per chi – tra linguisti e storici della letteratura – voleva aprire gli occhi».

Ma allora che differenza c’è, ad esempio, tra una fiction popolare come Don Matteo e la poesia di Giuliana Rocchi?

«In Don Matteo c’è una elaborazione, ci sono scelte di gusto, modelli presenti che vengono messi a frutto. Giuliana Rocchi da questo punto di vista è molto più immediata, nel senso che non ha mediazione, e questo non è un giudizio di valore, è il riconoscimento di come funzionano le cose. Poi uno può esser eccellente o pessimo, così come la mancanza di mediazione può essere una dote, come in Rocchi, o può riflettersi negativamente».

E oggi ha ancora senso parlare di poesia dialettale?

«Sì, diversamente da quanto si può credere, dalla Sicilia al Veneto ci sono molte regioni dove la tradizione della poesia dialettale è viva, non è archeologia».

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