Il soldato ritrovato

Rimini

CESENATICO. “Il soldato ritrovato”, il fante Alberto Romani, dato per disperso tre le accidentate e sperdute alture carsiche. Trascorsi 98 anni il nipote Pietro ne ritrova le spoglie e ne ripercorre la vicenda terrena. Oggi alle 16,30 alla sala conferenze del Museo della Marineria Pietro Palestini presenta il libro dedicato al nonno materno, intitolato appunto “Il soldato ritrovato”. La storia del soldato del 275° Reggimento fanteria della Brigata Belluno, mandato a combattere nella grande guerra e rubricato mesi dopo tra i tanti “militi ignoti” di quel lungo e cruento conflitto. A 98 anni dalla morte del soldato Alberto Romani, padre di 4 figli, nativo di San Benedetto del Tronto, avvenuta nel corso della prima guerra mondiale e di cui sono da poco decorsi i cento anni dalla entrata in guerra dell’Italia, il nipote Pietro Palestini ha ritrovato il luogo dove il nonno cadde. Morì all’età di 35 anni, il 19 ottobre del 1917, sulle alture carsiche, oggi oltreconfine, in territorio sloveno. Non si sapeva nulla di quel soldato dato per milite ignoto, salvo sbiadite e trapassate voci perlopiù discordanti, talvolta fantasiose, di reduci e perduti commilitoni. La tenacia e la determinazione del nipote nel cimentarsi sulle scarse fonti e nel mettersi sulle tracce del nonno disperso, del quale in famiglia, aveva tanto sentito parlare, ha permesso di colmare quel lungo vuoto. Ha permesso di trovare risposte ai dubbi, che fin da giovane Pietro nutriva, facendo di questa sua ricerca familiare, il racconto che riporta e accomuna tante altre vicende di uomini che la guerra ha strappato agli affetti. «Ho sempre sentito parlare a casa di lui, dalla mamma e dalla nonna - racconta Pietro Palestini -. La storia del nonno, milite ignoto nella grande guerra mi ha sempre preso e coinvolto, fin da bambino. Così, diventato io stesso nonno mi sono messo a indagare, a ricercare; a scrivere di lui e di questa esperienza. Glielo dovevo».

Le famiglie Romani e Palestini, originarie di San Benedetto del Tronto, immigrarono poi a Cesenatico. Portandosi dietro quelle barche entro le quali fin da allora i motori sottocoperta avevano preso il posto delle vele ai pennoni, al pari del mestiere di pescatori e naviganti di cabotaggio. Le stesse barche e il medesimo mestiere che prima di loro, a metà dell’Ottocento, avevano fatto e praticato le famiglie di pescatori veneti e chioggiotti, venute in gran numero a popolare Cesenatico per impiantare il ceto peschereccio della Romagna.

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