Benedizione per i nuovi lavori in cattedrale
CESENA. C’erano da festeggiare i 5 anni di Douglas Regattieri Vescovo di Cesena - Sarsina. Ma le panche della cattedrale sabato scorso erano pienissime anche per un altro motivo: vedere con i propri occhi il “nuovo Duomo”, riaperto ai fedeli dopo i lavori eseguiti nelle ultime settimane.
E’ stato infatti quello il momento per l’inaugurazione dei lavori di adeguamento liturgico. L’intervento ha riguardato il presbiterio cioè, nel dettaglio, l’ambone dove si proclama la Parola di Dio, l’altare e la cattedra del Vescovo.
I lavori, come spessissimo accade quando a richiederli è la diocesi di Cesena-Sarsina, sono stati eseguiti da una ditta specializzata: la Poli di Verona. Il nuovo altare ed il nuovo aspetto complessivo della chiesa principale cittadina (cambiano con la frequenza di una volta ogni 2/300 anni) sono stati curati dall’architetto Pier Vittorio Morri di Rimini.
Durante la Messa si è tenuto il solenne rito di dedicazione e benedizione del nuovo altare con l’unzione con l’olio santo Crisma (foto www.corrierecesenate.it). D’impatto anche il nuovo ambone, che si sposa benissimo all’altare, ma anche la Cattedra del vescovo, spostata verso il centro del presbiterio. Sobrie ma comode tutte le sedute: sono state sostituite anche quelle a disposizione dei fedeli oltre a quelle dei celebranti e concelebranti. Efficace la collocazione nuova per il crocifisso di San Zenone sopra all’altare. Così come i punti luce che sono stati sistemati in maniera tale da illuminare direttamente ed in maniera che salta subito all’occhio anche alcune bellezze finora nascoste della cattedrale.
Il direttore dell’Ufficio diocesano Arte sacra Marino Mengozzi ha spiegato così il significato di due arredi speciali quali l’altare e l’ambone nell’ultimo numero del Corriere Cesenate.
«La Cattedrale di Cesena arriva dai grandi lavori di restauro voluti dal vescovo Augusto Gianfranceschi (1957-1977): gli ultimi nel tempo per San Giovanni Battista, dopo la costruzione all’indomani del sacco dei Bretoni (1377) che sostituiva l’antichissima sede, con il medesimo titolo, posta sul colle Garampo; e dopo interventi rinascimentali specie in facciata (fine sec. XV), barocchi soprattutto all’interno ad opera del cardinale Orsini (1681-1683), neogotici a fine Ottocento (1882- 1892). Aperto nel 1957 sotto la guida di Ferdinando Forlati (protoarchitetto della basilica di San Marco a Venezia), l’imponente cantiere poteva chiudersi nel 1960, appena tre anni dopo: e quasi anticipando le prescrizioni in materia di edifici e suppellettili che sarebbero giunte nel 1963 con la Sacrosanctum Concilium.
Gianfranceschi avrebbe in seguito modificato la cattedra, fortemente suggestionato dall’intervento compiuto nella cattedrale di Sarsina dal vescovo Carlo Bandini (1953-1976): infatti il seggio episcopale marmoreo (coinvolto nell’attuale adeguamento - leggermente avanzato e privato dei sedili laterali - ma opportunamente conservato integro) aggiunto dal vescovo Augusto ricalca forma e stile di quello sarsinate, delineato dall’architetto liturgista faentino monsignor Antonio Savioli.
La sistemazione di Gianfranceschi non aveva previsto l’ambone: tant’è che periodicamente, fino agli intenti di monsignor Antonio Lanfranchi, l’esigenza di questo capitale arredo faceva capolino».
L’odierna realizzazione colma quella vecchia lacuna e riordina, con sobrietà e semplicità, l’intero presbiterio: «Questo peraltro accade proprio a 50 anni dalla chiusura del Vaticano II (7 dicembre 1965). Va da sé che l’inserimento dell’ambone (concepito anche per l’alloggiamento del cero pasquale) determinava in parallelo la revisione dell’altare, per evidenti ragioni stilistiche e artistiche.
Le sedi della Parola e del Sacrificio, cuore e centro fisico dell’intero spazio liturgico, meritano qualche esplicazione storico-liturgica. L’ambone. È un termine greco che significa “salire” e indica una superficie convessa e panciuta, che cinge chi vi entra. È dunque un luogo alto dal quale si proclama la Parola: «Sali sopra il monte eccelso tu che evangelizzi Sion” (Is 40,9). O meglio: è uno spazio liturgico, “abitato” dal diacono, dal lettore o dal salmista. E per il suo carattere simbolico vi si assommano l’evangeliario e il candelabro pasquale.
Già all’epoca della Riforma l’insistenza sulla Parola di Dio è essenziale; gli sviluppi successivi, specie postconciliari, portano oggi a parlare di “sacramentalità delle Scritture” e di Parola che convoca e raduna l’ecclesia. E se l’altare è la tavola del pane, l’ambone è la tavola della Parola. Così il Concilio: la Chiesa nella liturgia non cessa “di nutrirsi del pane di vita dalla tavola sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum, 21)».
Poi Mengozzi parla dell’altare. «La più antica rappresentazione di un altare cristiano si trova nel cimitero di Callisto sulla Via Appia: un tavolino a tre piedi. E tra i primi a parlare di altare dell’eucaristia c’è san Paolo, che lo definisce «tavola del Signore», dunque in stretta relazione con la «cena del Signore». Se l’eucaristia è sacrificio, la “cena del Signore” è un sacrificio e la “tavola del Signore” è l’altare: così la tavola della celebrazione diventa altare. L’altare è allora sia la tavola del convito che la pietra del sacrificio: sulla quale il pane è la copia (figura) e il corpo di Cristo è l’archetipo (verità).
Nel Pontificale romano il rito della dedicazione, posto fra liturgia della Parola ed Eucaristia, prevede la benedizione, l’unzione e l’incensazione dell’altare (che di fatto viene così “battezzato” e “cresimato”), oltre alla deposizione delle reliquie dei santi nel piccolo “sepolcro” (fenestella confessionis) appositamente ricavato nel marmo e chiuso da una lastra (tabula) più nota come “pietra d’altare”.
Con l’unzione del crisma, l’altare diventa simbolo di Cristo che è e viene chiamato “l’Unto”: dunque Cristo è l’altare. Nel marcato simbolismo di queste azioni, il Rituale ci ricorda inoltre che l’altare dà prestigio al sepolcro dei martiri e dei santi e che pure il cristiano è a sua volta un altare spirituale.
In conclusione, la strutturazione del presbiterio è governata da una precisa catechesi e deve parlare un linguaggio unitario. Luoghi, tempi e atti dei riti liturgici non possono essere scissi da spazialità e visibilità, da ornamento e decoro».