Il nostro legittimo diritto di informare

Rimini

È quantomeno originale che l’avvocato difensore di un imputato accusato dell’omicidio della moglie che manda lettere a un giornale, il nostro, raccontando la sua “verità” e proclamando la sua innocenza ora si scagli contro questo stesso quotidiano accusandolo di aver condizionato l’opinione pubblica.

Sappiamo benissimo che in uno Stato di diritto è nostro dovere, come cittadini e giornalisti, ritenere Cagnoni innocente fino a prova contraria. Tuttavia il garantismo dovuto a ogni imputato non può essere un pretesto per invocare un totale stop dell’informazione. Avremmo dovuto insomma far sparire Cagnoni dai radar come hanno fatto i quotidiani nazionali. Lo capisce anche il lettore più sprovveduto che, passata la prima ondata, a Bolzano e a Trapani l’interesse per il dottore ravennate si scioglie come la neve. Ma non a Ravenna e non è il caso di sprecare inchiostro a spiegare il perché.

Le prove si formano in dibattimento, ha detto giustamente l’avvocato Trombini. Ci mancherebbe. E infatti il nostro giornale mai (appunto) ha scritto di prove ma di atti di indagini. Quelli che, venutone a conoscenza l’indagato, non sono più coperti da segreto. Abbiamo in poche parole esercitato il nostro sacrosanto diritto di cronaca. Il diritto di far sapere ai lettori, ai ravennati, gli sviluppi di una vicenda tragica che ha scosso e impressionato un’intera città. I confini della libertà di stampa sono stati sapientemente tracciati dalla Costituzione e dal codice penale ben prima di questo processo e della dolorosa vicenda di cui si discute ora. Da lì non siamo mai usciti. Continueremo a farlo anche ora che il dibattimento è iniziato perché così dice il codice. Senza infilarci la casacca dei colpevolisti o quella degli innocentisti. Cercheremo come sempre di raccontare ai nostri lettori, in buona fede, quel che accade aspettando una sentenza che – e questo ce lo auguriamo esattamente come Cagnoni – possa andare “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Che la difesa arrivasse oggi ad avanzare la richiesta di trasferimento del processo poteva anche essere prevedibile. Questione di strategia. Legittima. Siamo scafati, non ci stupiamo. Ma una risposta era necessaria. Non tanto per difendere la bontà del nostro lavoro quanto la sua reale necessità.

(g.bed.)

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