Quando si spegne una Voce

Rimini

Ogni volta che muore un giornale tutta la comunità di riferimento, e non solo la platea dei lettori, ne esce sminuita, sconfitta. Così anche chi non dovesse avere mai condiviso neppure una riga di quanto apparso sul quotidiano “La Voce” negli ultimi diciotto anni, oggi dovrebbe avvertire l'amaro in bocca per l'interruzione delle pubblicazioni. Non solo per la sorte dei giornalisti (quelli rimasti a spasso ora e quelli allontanati mesi fa), ma per l’impoverimento culturale e identitario che ne deriva. Quello che sorprende, invece, specie in Romagna, tradizionalmente attenta alle cause nobili, è assistere al silenzio dell’indifferenza. Oggi non si fanno pubblicamente avanti le istituzioni, né gli amministratori e neppure quei politici che in quel giornale avevano trovato una ribalta, a volte addirittura sproporzionata rispetto alla rappresentatività. La solidarietà espressa da alcuni addetti ai lavori non sempre è sincera, stretta tra chi sotto sotto cova un triste “mors tua vita mea” e chi strizza l’occhio ai vecchi lettori orfani della “Voce”.

Il tutto mentre l’onda dei social si augura da un pezzo un mondo senza giornali: ormai è diventato più facile sostenere in pubblico le ragioni dell’Isis che quelle del finanziamento statale all’editoria. Vince un senso di ineluttabilità in nome di internet, della frontiera digitale e di una transizione verso una futura economia dell’informazione basata sulle tecnologie che per ora, in Romagna come altrove, non produce idee né profitti e, tranne rare eccezioni, sforna solo titoli “acchiappaclic”, articoli tratti e parafrasati di buon mattino dalle colonne dei quotidiani cartacei e dai comunicati stampa.

Occhio perché post-verità e fatti alternativi sono già qui tra noi: il giornale legato al territorio e alla sua gente, realizzato tra mille difficoltà, ma con garanzie di rigore e professionalità, non è un retaggio del passato. Resta il più completo strumento di interpretazione della realtà, specie locale, a prescindere dalla declinazione o dall'orientamento della testata. Quando muore un quotidiano, patrimonio di tutti, la questione non investe solo il "mercato", chi perde l'impiego o la concorrenza: pluralismo e democrazia, infatti, non sono parole vuote ascoltate in tivù. L'intera comunità quindi dovrebbe interrogarsi sul da farsi perché informarsi è un diritto e in futuro potrebbe toccare ad altri affrontare la burrasca. Un piccolo passo può farlo davvero chiunque, magari dopo aver terminato la lettura al bar davanti al caffè: passare più spesso in edicola, ad esempio, è un gesto semplice che arricchisce tutti.

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