Una collezione di spunti per cercare il nostro vento

Rimini

“Da dòu che vén e’ vént …?, da dove viene il vento? Si chiede un grande poeta romagnolo, Nino Pedretti. Dal cielo? dalla foresta? Dal collo di un cavallo? O invece dal mare, “dòu ch’al santémmi mov / l’acqua dla véita?", dove lo sentivamo muovere l’acqua della vita?

Il museo di Trieste

Il vento è un dio o un demone, a seconda che sia favorevole o contrario, dolce o rabbioso, utile o dannoso. Il vento, il più invisibile degli agenti atmosferici, è stato per millenni la principale energia sfruttata dall’uomo, poi quasi dimenticato nella seconda metà del Novecento, per ritornare oggi al centro dell’attenzione energetica.

Al vento sono dedicate leggende, poesie, racconti, quadri o addirittura monumenti. Celeberrima la Torre dei Venti di Atene, risalente al I secolo o meno noti come la Torre del Marzocco di Livorno, sempre ottagonale, costruita nel XV secolo e utilizzata per l’avvistamento portuale.

Ma solo a Trieste esiste un museo dedicato ai venti, anzi per essere più precisi il “Museo della Bora”. Non poteva essere diversamente, vista la straordinaria presenza della regina eolica dell’Adriatico. Un museo insieme attivissimo per attività didattiche e virtuali, vista la presenza ormai decennale in Rete, www.museobora.org. Ma in vibrante attesa di trovare uno spazio museale concreto i figli di Eolo sono momentaneamente stati messi nel Magazzino dei Venti.

Segnavento e tientibene

Da qualche mese è stata pubblicata anche una “Piccola guida al Magazzino dei Venti” (I Libri del Museo della Bora, pp. 40, 9 euro), a cura di Chiara Cecalupo, archeologa e anemofila, cioè grande appassionata dei venti. Un libricino elegante, anche per le illustrazioni dal sapore ottocentesco, e ricco di curiosità.

Nell’invito rivolto a visitatore si esplicita subito l’indirizzo del Magazzino: via Belpoggio 9, senza dimenticare i luoghi naturali dell’incontro con la Bora: il Carso, il Molo Audace e Via della Bora, nel cuore della città. Un vento che secondo alcuni ha piegato anche il carattere di molti triestini, come hanno scritto diversi autori. “Forse molti triestini conservano, dai loro giovani anni, una segreta simpatia per la bora. … È sempre arrischiato generalizzare in tale campo, ma seduce il pensiero che quel tanto di scabro e di guardingo, quel gusto del contrasto. Quella tenacità disuguale, che c’è in loro, derivi dalla bora”.

Non solo cimeli e frammenti letterari, ma anche oggetti e giocattoli vecchi e nuovi, come i segnavento e i tientibene dette più comunemente le “corde della bora”, le girandole e gli “spara-aria”.

Una guida e un Magazzino che vogliono restituire suggestioni, una collezione di spunti che ognuno può cogliere e approfondire a seconda della propria geografia eolica, del proprio vissuto, delle proprie predilezioni.

“Perduti i punti cardinali nei refoli del museo, pur mirando prevalentemente a est-nord-est, di nuovo si esce da Trieste e si guarda agli apri venti del mondo e a come questi si mostrino agli uomini quando soffiano indomiti”.

Il Garbino di Baldini

In Romagna la Bora prende il nome altrettanto evocativo di Furien, d’etimologia incerta, ma di provenienza certa e di forza a volte straordinaria. Una furia che forse per assonanza trova una sintesi nella sostituzione della B di Burian con la F di Furien. Ma sarebbe inopportuno e pericoloso, visto il caratteraccio, non accennare al mitico Garbino, il vento di Sudovest che i tirrenici chiamano Libeccio. Se il Furiano spesso è rabbioso, il Garbino è sempre bizzarro, non solo meteorologicamente. Sui suoi effetti sul carattere dei romagnoli esistono barzellette e leggende.

Al Garbino ha dedicato qualche verso un altro grande poeta santarcangiolese: Raffaello Baldini.

“L’è garbéin, a l so, a l sint, t vu ch’a n’e’ sinta? / sté vént, sé, l’è un vantàz / ch’u t fa vni ‘nca e’ nervòus”, “E’ garbino, lo so, lo sento, vuoi che non lo senta? / ‘sto vento, sì, è un ventaccio / che ti fa venire anche il nervoso”. Buon vento e “stè ténti!”.

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