La missionaria della Papa Giovanni XXIII: “A Rimini la solitudine dei giovani è la nuova povertà dei tempi moderni”

Rimini

«A Rimini la solitudine dei giovani è la nuova povertà dei tempi moderni». A sostenerlo è Betta Garuti, 67enne missionaria della Comunità Papa Giovanni XXIII. Modenese per nascita, vive da 42 anni a Rimini e il suo nome è legato alla campagna “Un pasto al giorno”, lanciata nel 1985 da un’intuizione di don Oreste Benzi quando, giunto in Zambia per Natale, le domandò: «Quanto costa dare da mangiare a uno di questi bambini per un mese?» e lei rispose: «Circa 10mila lire». Tornato in Italia, il sacerdote dalla tonaca lisa avviò l’iniziativa che da 40 anni fa la differenza per schiere di persone invisibili ai più.

Garuti, quali forme sta assumendo la povertà a Rimini?

«Ci sono molte persone che, provenendo da altri Paesi, non sono ancora riuscite a trovare un lavoro o un luogo dignitoso dove vivere. Una situazione, sotto gli occhi di tutti, che si accompagna all’aumento dei nuovi poveri italiani che per diversi motivi sono caduti in indigenza. Ovunque, nel mondo, il sistema economico vede i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Intanto la classe media fatica a stare a galla, a fronte di stipendi che non vanno al passo del carovita, da almeno trent’anni. Tanti ricorrono a indebitamenti che poi non sono in grado di restituire mentre altri riducono i consumi ai minimi termini. Basta passare davanti alla mensa dei francescani per scorgere anche tanti pensionati. Una varietà di casi molto preoccupante per una Regione così opulenta, come l’Emilia-Romagna, e una città ricca di turismo».

Esiste una nuova frontiera della fame?

«Si tratta di un’emergenza silenziosa che priva sia del futuro che delle relazioni. Mi preoccupa il senso di vuoto che affligge i giovani che sfocia nello smarrimento della speranza. Ormai si comunica in continuazione e senza sforzo, grazie alla tecnologia, ma ricavandone solo false immagini di se stessi e una solitudine estrema».

Quando è cominciata la sua esperienza da missionaria?

«Era il 1985 quando mio marito ed io siamo partiti per poi restare tre anni. Don Oreste Benzi ci ha accompagnato sin dentro l’aereo e continuava a pregare mentre la hostess cercava di farlo scendere (sorride, ndr). Sono arrivata forte dei miei ideali sbattendo contro una realtà ben diversa. Una volta rientrati in Italia, siamo diventati genitori e abbiamo creato una casa famiglia dopodiché nel 1997 siamo ripartiti per aiutare i tanti bambini che, avevamo visto nascere, ma erano restati orfani a causa dell’Aids. Tornati a Rimini nel 2000, ho continuato a fare la pendolare con l’Africa e tuttora seguo lo stesso progetto a favore dei più piccoli. È un onore e un privilegio alzarsi ogni mattina e sapere che farai ciò in cui credi, nonostante fatiche e sofferenza».

Compagni di viaggio da ricordare?

«La fame e la povertà che non sono mai riuscita a lasciare indietro. Una sconfitta per tutto il mondo è ritrovarci a distanza di 4 decadi a combattere contro le stesse piaghe ancora più diffuse a causa di meccanismi economici iniqui, spoliazioni di popoli stretti nella morsa della miseria e 54 guerre in corso, con un genocidio che dilania anche il Congo. Resta più che mai attuale l’insegnamento di don Oreste: “Combatti il male e costruisci il bene”».

Cosa ricorderà per sempre dello Zambia?

«La bellezza di quella terra e della sua gente. I tramonti dell’Africa che incendiano l’orizzonte erano la mia ricompensa dopo una giornata trascorsa nelle baraccopoli e costellata da tanto dolore. Non dimenticherò la vicinanza delle stelle dall’altopiano e una luna gigantesca nel buio più totale salvo qualche lampada a cherosene. E ancora: i canti dei detenuti nel carcere alle luci dell’alba e il sorriso dei bambini che ti accolgono col cuore anche se non hanno niente».

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